venerdì 14 dicembre 2012

Sentire, ascoltare /80

Ai margini delle strade, al mattino, appena cessate la pioggia o la neve, tra le fila dei parcheggi gialli e blu, alcuni tasselli di asfalto, asciutti e più chiari di quelli battuti dalle intemperie, sono indizio di ricoveri notturni per auto. 

La città, sveglia e già popolata, dopo il diluvio, apre ai suoi abitanti una cartografia di chiari e di scuri che traccia, per alcune ore, finché l'asfalto non avrà assunto un colore omogeneo, itinerari automobilistici di massa. 

In alcuni luoghi le fila dei parcheggi sono deserte e bianche; in altri sono lucide e nere; in taluni sono ancora, o da poco, nascoste dalle auto; in tal altri sono sporcate dagli schizzi delle pozzanghere. 

La mappa bagnata della mobilità urbana, poi, si dissolve; per non apparire più.

domenica 9 dicembre 2012

Sentire, ascoltare /79

Non avesse udito -distinti, senza equivoci- i passi di un uomo, oltre la porta di un bagno pubblico, al vento di un'area di sosta autostradale, quel tale, intento ad urinare, avrebbe speso altre parole per il proprio soliloquio.

Poco dopo, tra le auto e le pompe di benzina, rinsavito e domate le ombre di un'esistenza solitaria, si convinse, non senza personali resistenze e scrupoli, per timore di confidare verità a lui sconosciute, che non avrebbe più concesso alla sua coscienza alcuna confessione. 

lunedì 3 dicembre 2012

Sentire, ascoltare /78

I giorni di riposo asciugano la città: serrande calate, insegne spente, tende da sole annodate, sedie e tavolini impilati oltre le grate delle saracinesche, menù e sagome di pizzaioli riposti dietro lisci banconi da bar. 

Sulla strada, come nei letti dei fiumi d'estate, riappare quel senso di malinconia urbana che la piena delle attività -del fare- colma e spazza via nei giorni di lavoro; dalle finestre, a sbirciar fuori, lo spazio respinge gli sguardi e rifiata da ogni fatica. 

In poche ore di assenza di attività, l'appartenenza alla città si scioglie nei tombini, si disfa nell'aria, attraverso i comignoli: senza acquisti, pubblicità, marketing, vetrine e luminarie ciascun uomo abbandona il proprio ruolo sociale e se ne sta in disparte.

Sentire, ascoltare /77

Per le strade, lungo gli ampi spazi dei centri di alcune metropoli o stretti sul ciglio di contorte viuzze di botteghe e artigiani, i passanti, seppur a passi differenti, camminano, per una manciata di secondi, assorti nei propri personali convincimenti, gli uni accanto agli altri. 

Qualcuno ha da poco lasciato casa, qualcun altro passeggia da parecchie ore, taluno rincorre un appuntamento, tal altro non sa dove andare; vicine per un attimo, spalla a spalla, chi dandy chi chic, chi sobrio chi eccentrico, le esistenze lontane dei viandanti si confrontano, così come appaiono, sui marciapiedi, nei vicoli e nei viali. 

Le supposizioni, i se e le ipotesi, le astrazioni e le riflessioni si mostrano -sotto il calpestio della folla, tra passi, scarpe e andature differenti- con chiarezza, senza imbrogli, lampanti.

martedì 27 novembre 2012

Sentire, ascoltare /76

Spinto da un'intuizione sonora, ho ascoltato la quinta e l'ottava traccia di decine di album musicali. Nella quasi totalità dei casi, le due tracks si sono distinte per ritmo, melodia e timbro.

Anche laddove estro, contingenze e inclinazioni oggettive governano i nostri umori, sovrasta ogni cosa il regno della comunicazione; e la musica asseconda le note del marketing.

lunedì 26 novembre 2012

Sentire, ascoltare /75

La città vive, letteralmente, di macerie: su di esse cresce, si rinnova, si espande. Il fuoco che brucia le capanne in paglia e legno si spegne sotto l'argilla; il vento che abbatte e scoperchia i tetti si placa contro il vetro e il cemento; l'acqua che spazza via pilastri e ponti asciuga sotto il dominio della tecnica. Ad ogni giro di vita, lo spazio urbano si amplia, si sviluppa. 

In questo incedere in avanti, la città compie, però, un percorso vitale che non ha alcun riscontro in natura: non invecchia mai, semmai ringiovanisce. Le foto, i filmati e le illustrazioni d'epoca testimoniano, sempre, senza alcuna eccezione, che le città del passato, messe a confronto con le medesime nel presente, appaiono svilite, smunte dalla senescenza, macchiate dall'età, curvate dagli anni, rallentate da una muscolatura flebile, inconsistente. 
L'uomo, con l'età, invecchia e muore; la città, col tempo, ringiovanisce e vive. 

In questo assunto, e non in altro, risiede la grandezza dell'uomo: che tutto cede, persino la propria vita e i propri anni, affinché la storia da cui proviene, la collettività a cui appartiene, l'invenzione più alta che sia mai riuscito a ideare -la città appunto- restino vivi. 

Quando non è così, una generazione di uomini può decretare, in punto di morte, il proprio fallimento.

domenica 25 novembre 2012

Sentire, ascoltare /74

Tra le pile di una piccola libreria del centro, in una città poco lontana da Milano, ho adocchiato, nel reparto libri usati, due copie de I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. 

La prima era un poco rovinata, con le orecchie -almeno cento pagine- sciupate e curvate all'insù, tanto da pensare fosse rimasta molto tempo in una grande borsa da donna, dove tutti gli oggetti si muovono alla rinfusa e nulla si riesce mai a trovare.

Tra le pagine, sfogliando la copia, si è fatto avanti un fiorellino schiacciato, reciso da non molto -ho dedotto- perché i colori erano ancora vivi. Se quei viaggi di Gulliver non fossero appartenuti a una donna, sarebbe facile immaginare, chino sulla scrivania, con lente d'ingrandimento in mano, un romantico di altri tempi intento ad ammirare la miniatura in copertina. 

La seconda copia, stampata da un'altra casa editrice, era in ottimo stato: la copertina meglio disegnata, l'impaginazione più chiara e spaziosa, il carattere gradevole e insomma avrei preso quella. Ho letto, per scrupolo, la prima pagina di entrambe le copie, e mi sono persuaso a ritenere migliore la traduzione del volume romantico

Il libro, tuttavia, è anche un oggetto estetico: se non dà piacere, tra le mani, perde buona parte del suo fascino. Con tale convinzione ho fatto qualche passo in più, nel reparto libri nuovi. Sotto la Esse, immersi nell'odore della carta fresca di stampa, altri due Viaggi di Gulliver aspettavano di essere acquistati. 

Una copia, di una terza casa editrice, si avvaleva di una traduzione che non reggeva per nulla il confronto con le copie sfogliate in precedenza. La quarta copia, infine, era all'apparenza identica alla prima: casa editrice, collana, copertina e traduttore non mentivano. Tra le prime pagine, però, il curatore informava che la traduzione originale era stata rivista da altri due traduttori. Ho letto così, per la quarta volta, la pagina d'esordio del romanzo: piccole modifiche, come “figlio” per “figliuolo”, hanno incanalato la mia scelta verso la prima copia che avevo valutato. 

Acquistato il mio Viaggio di Gulliver, a casa di un amico, poco dopo, trovai una quinta traduzione dell'ennesima casa editrice; avrei potuto proseguire di libreria in libreria, di biblioteca in biblioteca, di casa in casa, leggendo decine di libri diversi con lo stesso titolo. 

Ad ogni modo, fa riflettere come un microcosmo così tecnico, animato da alcune decine di letterati che si leggono, si ammirano, si detestano e si spiano, possa influenzare, a insaputa dei più, il mondo infinito della lettura e della finzione. È così delicata la nostra esistenza che un dettaglio -una pagina sfogliata- può influenzare le sorti di una passione, di un interesse, di un convincimento.


mercoledì 21 novembre 2012

Sentire, ascoltare /73

Nulla desta stupore quanto la geometria; è in ogni cosa e di fatto non esiste.

Sentire, ascoltare /72

Sul piano della scrivania, con la fronte appoggiata all’avambraccio e gli occhi liberi di ruotare nello spazio basso della stanza, un impiegato esausto -ufficio al decimo piano di un palazzo in ferro e vetro, una sola luce accesa, e vuoto cosmico- seguiva i cavi del pc. Annodati a mezz’aria, i fili si scioglievano in varie direzioni: alcuni lungo lo zoccoletto, altri tra i cassettoni degli hardware, altri ancora verso le prese elettriche avvitate al piano inferiore del tavolo. 

Fronte alta, arrossata dalla pressione d’appoggio, l’impiegato sembrava scoprire che ogni cosa avesse forma cilindrica e arrotondata: il filo delle cuffie, i punti metallici delle pinzatrici, le graffette, le cannucce con inchiostro e le bic che le contengono, i tubi del riscaldamento, le sbarre alle finestre, le lampadine a basso impatto ambientale, le gambe del tavolo e ogni cosa. 

Preso allo gola da un senso di soffocamento, la cravatta allentata, il volto paonazzo e le mascelle ben serrate, l’impiegato sradicava ogni cosa potesse ricordargli la forma dei cavi. Molte furono scaraventate dalla finestra. 

Eliminati gli oggetti cilindrici, l’impiegato, ansimante, in piedi con una mano appoggiata al muro, dopo una breve panoramica visiva, si accorse, attratto dal boccione azzurro dell’acqua, che quanto rimasto aveva forma circolare.

Con rinnovato ardore si scagliò contro tutto quanto di vagamente ellissoidale fosse a portata di mano: le abat-jour, le bottigliette d’acqua, il cestino d’ufficio con le listarelle in plastica, i tappi delle biro, le Saila menta, gli occhiali, le lattine, il portamatite, il centrino della cassettiera, la pallina antistress ed ogni cosa. 

A tal punto, soddisfatto per un istante, la foga anziché abbandonarlo rafforzò la sua ira contro gli oggetti quadrati e rettangolari: monitor, telefoni, cassettiere, cartellette, scatoloni, armadi, scrivanie, fotocopiatrice, risme, tastiere, borse a tracollo. Ogni cosa. 

La stanza d'ufficio al decimo piano del palazzo in ferro e vetro non esisteva più. Ora calmo, con il fiatone, lungo il perimetro di un locale che non colse essere quadrato, appoggiò i gomiti al piano della finestra, per guardare fuori. La porzione di mondo che si poteva scorgere da quella altezza era sola geometria; ogni cosa era geometria; e l'impiegato nulla avrebbe potuto contro tale stato di cose.

domenica 18 novembre 2012

Sentire, ascoltare /71

A notte non ancora inoltrata, poco lontano da un reticolo di pub, circoli e trattorie, al cicalare lungo e confuso degli avventori delle feste si è sostituito il pigolio di alcuni uccelli di città. 

Dapprima il cinguettio pareva un suono appena distinto dal vociare urbano, simile ad un'acuta risata femminile; poco dopo, allontanati i luoghi di ritrovo, il verso dei volatili si stagliava, tra le facciate di alcuni palazzi di primo Novecento, senza equivoci, con insistenza. 

Il canto proveniva da una voliera in ferro, sporgente da un terrazzo ad angolo di un ultimo piano aristocratico; e l'idea che i pennuti potessero abitare la città, con le proprie voci, il solo mattino, quando ancora è buio -appena alzati per un lungo viaggio o non ancora rientrati da un insonne crepuscolo- si è sciolta nell'aria notturna, confusa all'ennesimo artificio che fa delle città luoghi di immaginazione e illusione.

giovedì 15 novembre 2012

Sentire, ascoltare /70

La città, oltre il suo confine, è un luogo senza definizione. Le parole di chi, attraversando la terra stretta tra un cartello di arrivederci e uno di benvenuto, vorrebbe corrispondere un nome allo spazio di campi, arbusti e capannoni isolati lungo stradine sterrate, sono sottomesse al regno urbano. 

Un’ombra lunga, fatta di sagome architettoniche, luci lampeggianti, attutiti sciami d’auto, grigi colori di cielo, si allunga sino alla città successiva, soggiogando i passanti al pensiero dominante della metropoli. 

Oltre il confine della città lo spazio si attraversa e la terra si compatisce. L’impressione è che ogni cosa resista per poco, attenda l’ultimo avviso di sfratto. 
E chi non vede più, alle spalle, il cartello di arrivederci, e non scorge ancora, all’orizzonte, quello di benvenuto, può cogliere, in modo sincero e senza equivoci, la reale condizione dell’uomo di città.

lunedì 12 novembre 2012

Sentire, ascoltare /69

Disagio della modernità è la nostra incapacità di coltivare amicizie. Alcune si sciolgono in conoscenze, altre sopravvivono nella sola memoria, alcune sono così lontane che non si ricordano nemmeno i nomi propri, altre ancora si scollano piano piano, incontro dopo incontro. 

Un tale stato di cose è sintomo di un disagio ancor più grande: la perdita di se stessi e l'affermazione di un'indeterminatezza esistenziale
Si confondono le città, i volti delle ragazze, gli affetti, le parole. 

Ad una via di Milano mi pare di abitare le strade della città in cui vivevo l'anno passato; nel volto della ragazza appena sedutasi sul tram riconosco l'espressione seria di una vecchia relazione; quel modo di dire che mi ha fatto voltare, in un bar del centro, per vedere chi l'avesse pronunciato è simile a un'espressione che ripeteva spesso un compagno di corso, anni addietro. 

Ogni cosa sta assieme, si confonde e in qualche modo sopravvive. Tutto, però, avviene senza che nessun altro sappia, in assenza di parole. 
Resta da chiedersi cosa si debba fare di quest'archeologia del vivente, cosa si debba pensare di luoghi, volti e affetti che irrompono, a distanza di tempo e spazio, nella propria esistenza.

domenica 11 novembre 2012

Sentire, ascoltare /68

Non esistono più le storie di campagna e di città in cui una Rosina o un Bruno invecchiavano nelle trattorie, un Antonio prendeva il treno per fare figli lontano, un Franco leggeva romanzi politici assieme a quelli che un tempo erano stati compagni di scuola, e un Giovanni era per tutti il guascone che si era rovinato dopo il rifiuto d'amore di una Linda. 

La narrativa era queste storie; l'Italia un intreccio di conoscenze che non si scioglieva mai; la vita un racconto plurale circoscritto a piccoli luoghi abitati. Non è più così; e non trovo nessuno, tra i fogli delle librerie, che sappia dirlo per iscritto.

giovedì 8 novembre 2012

Sentire, ascoltare /67

Sulla battigia dei ricordi, io ti penso e tu mi scordi. 
Le mie impronte cancellate da un colpo di spuma; le tue, appena impresse, fresche, sul bagnasciuga.

martedì 6 novembre 2012

Aforismi, neologismi e bestialità /29

Per definire una parola sono necessarie altre parole, ciascuna delle quali è definita da altre parole. Quale che sia la prima parola definita nella storia dell’uomo, esiste più di una probabilità che le parole siano tutte sbagliate.

domenica 4 novembre 2012

Sentire, ascoltare /66

Milano, il paravento.


Nel legno robusto, tra i segni di una levigatura setosa, le donne sedevano con lunghe vesti di raso rosso, l'acquaiolo versava per un cliente, e il vecchio al di là del fiume insegnava i suoni del flauto a un giovane scolaro di Sekigahara.

In quel luogo il paravento a sei ante, dipinto a inchiostro e colori su carta, celava l'intimo di una giovane donna intenta ad avvolgersi di seta, in attesa di dedicarsi ai suoi propri passatempi d'oro e argento su carta. 

Ai lati della campagna giapponese del XVI secolo, venata dal legno appena accennato sotto il dipinto, un piede pallido e una mano sottile facevano capolino oltre le ante. Una bambina, affacciata alla finestra dirimpetto, osservava quel che c'era da vedere e immaginava quel che non si vedeva. 

Nella stanza accanto un pittore sciacquava i pennelli con cura.

mercoledì 31 ottobre 2012

La guida Sbagliata /8


Il Negroni Sbagliato è una droga liquida che fa slittare il flusso inconscio delle parole oltre le capacità motorie di lingua e mandibola.

Le rondelle di arancia sono una sottile citazione a quei limoni che sentivamo chiedere, negli anni Novanta, nei bar di stazione, da giovani eroinomani; le cannucce corte simulano pallide banconote per nasi d'oro di una certa polverosa borghesia; lo sciogliersi del ghiaccio ammicca a zollette bohèmienne infiammate su pontarlier d'assenzio e sciolte in colini d'argento, liquide nel liquido; quel che rimane è un rosso venereo, infetto.


Illustrazione di Silvia Marinelli


Il bar Piccolo, simile a un chiostro di edicola, senza posti a sedere né interni, tiene tutti appesi al bicchiere, sul piazzale del teatro; spaccia cocktail a prezzi di favore. E poco a poco, storditi, gli avventori si adagiano sugli spalti di quelle panche circolari che fanno il verso al teatro antistante e a quelli della Grecia antica.

Ognuno si fa di quel che vuole; la folla, coreuti della modernità, vocia con costanza. Il silenzio attende che bocche larghe si attacchino a cannucce secche per drenare alcol nelle vene. Cuore, lingua, mandibola. Cuore, lingua, mandibola. Cuore, lingua, mandibola.


Bar Piccolo 
Largo Antonio Greppi 
Zona Brera 
Prezzo Sbagliato 3,5 euro

domenica 28 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /65

Le conversazioni dei tempi moderni, come un ronzio di fondo che confonde i cervelli delle nuove generazioni, si spingono, sempre più, con sguardi illuminati da una certa luce della ragione, verso un'equazione che pare non abbia alcuna incognita irrisolta: meno lavoro, più tempo. 

Tali matematici erano pochi e ora sono un poco di più. Mi chiedo dove abbiano studiato perché scuole che insegnano il tempo non ne ho frequentate, mentre scuole che inculcano, con insistenza, i significati del lavoro mi hanno imposto di frequentarle da quando ero bambino. 

Ora, per molti, questa prima inedita esperienza del tempo pare suggerire che serva per piangere. E prima di scrollare di dosso ogni consuetudine sociale, di accantonare la vergogna di dire che non lavoro, di accettare un impiego umile, di conoscere la solitudine dei pomeriggi a casa a navigare su tutti gli infojobs esistenti, di imparare a farcela da soli, di accettare quello che si ha, di apprezzare le passeggiate urbane senza meta, prima di tutto questo il nostro tempo sarà passato e una nuova rivoluzione copernicana avrà smentito le equazioni che abbiamo cercato di capire: meno lavoro, più tempo.

domenica 21 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /64

Simile a erbacce che bucano la strada, distanziate una dall'altra dal cemento crepato, verdi e tese verso l'alto, oppure calpestate dai passanti e recise dai netturbini, talvolta accompagnate da solitari fiori gialli, l'uomo in città si inerpica nei luoghi di passaggio. 

Il tempo di riflettere scorre negli snodi urbani dove, costretti a stare, più volte al giorno, tra i poli delle attività quotidiane, viviamo soli. Si pensa a sé tra un registratore di cassa e una lunga coda di acquirenti; si specchia un pensiero nei viandanti incrociati al semaforo pedonale; si sciolgono, nelle pagine di un saggio, i rompicapo delle proprie relazioni; si legge il labiale, oltre il finestrone di un bus, di due amici seduti ad una panchina. 

L'esistenza arrampica dove può e la città coltiva solitudini a cui l'umanità -Tokyo come Milano, Los Angeles come Istanbul, Londra come Pechino- si aggrappa. In questo, e non in altro, siamo vicini.

venerdì 19 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /63


Voltato l'angolo, dopo la T di tabacchi e la vetrina zigrinata di un solarium, ho adocchiato quattro persone: tonde, come quei fiaschi di vino rivestiti in paglia che non si vedono più sulle tavole, baffi a spazzola ben curati, neri, stretti sotto le nari e larghi sopra il labbro superiore, di altezze e stazze differenti eppur molto simili, camicie color panna e pantaloni grigi, stavano, ognuna con propria posa, davanti al portone di un palazzo in bugnato.

Oltre una lavanderia automatica, in direzione dei quattro uomini, ho orecchiato -prima vociare poi parole chiare- la loro discussione, in tre lingue -italiano, spagnolo e inglese: parlavano di beghe condominiali.

Ho proseguito, affiancati e circumnavigati i queruli grassoni, lasciandoli alle spalle -chiacchiericcio fievole, sino a confondersi coi rumori della città. 

Il quartetto era simile a un'illustrazione di un libro per bambini, della mia infanzia, in cui una banda di musicisti messicani, con le gote rosse e il sombrero, era intenta a suonare per una coppia di topolini.

In qualche modo le immagini del panorama urbano, persone e cose, pare siano riflessi di luoghi lontani. Un crocchio d'uomini buca la realtà per richiamarne un'altra e non si sa mai, quando si passeggia in città, se siano, le strade, itinerari in avanti o discese verso il proprio passato, continui rimandi ad altro.

martedì 16 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /62

Quasi fosse l'interpretazione di un sogno o un piano sequenza di un film di Ingmar Bergman, ieri mattina, ad una fermata sconosciuta -senza pensilina, orari e banchina rialzata-, lungo le rotaie, simili a un carrello di un set cinematografico, ho aspettato che il tram si avvicinasse. 

Poco a poco, all'interno dell'abitacolo, somigliante per geometria e luce a un'edicola votiva o a un trittico su tavola di legno, nel primo freddo stagionale, con un riflesso di luce sui vetri, tra lo sferragliare delle rotaie in frenata, ho afferrato nello sguardo la figura del conducente. 

Veste nera, non certo d'ordinanza, cappello come un drappo pesante sulla testa a scendere lungo le spalle, fronte ampia senza ombra di capelli, volto magro d'eremita, barba lunga e stretta protesa in avanti, non folta ma nutrita, crespa con alcuni peli bianchi, occhi neri, il tranviere pareva l'icona di un santo. 

Arrestato il tram, spalancate le porte in legno, battenti a fisarmonica contro gli stipiti di ferro, il profilo severo del cenobita patentato mi ha spinto sul convoglio deserto. Ho preso posto sul sedile, legno da cassa da morto, e ho atteso che mi portasse a destinazione. 

Per tutto il tragitto ho meditato, passando in rassegna i fatti della vita.
Sceso, senza voltarmi, sono entrato in un bar e ho chiesto un caffè d'orzo in tazza piccola. Fuori ho acceso una sigaretta e con la prima boccata ho espiato tutto.

domenica 14 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /61

La città, di questi tempi, nonostante lo skyline, le giornate senza auto, il festival che si terrà tra alcuni mesi, le agevolazioni, le pubblicità di sconto, il concorso, le start up, l'orto pubblico, i divieti per un vivere più civile, il nobel, i vernissage, l'aperitivo, il campionato di calcio, i corsi di pilates, Marte, i quotidiani, il cinema, i social, il couchsurfing, le elezioni, gli scandali, instangram, il 99%, le rivoluzioni, i tecnici, i supermercati 24su24, i cinesi, le coppie, la mostra temporanea, le bici, gli ottuagenari, l'autunno, le alluvioni, le emergenze, la solidarietà, gli sms per le donazioni, le statistiche, il multietnico, il bosone e le diete Dukan.

Nonostante tutto, di questi tempi - forse è complice il cielo -, le città sono sciupate, un poco avvilite, tormentate dai pensieri; somigliano a se stesse così come sono immortalate nelle foto che i cittadini scattarono loro trentanni fa, quando erano più vecchie. Perché le città, in linea di massima, non sono come gli uomini, che invecchiano col tempo; loro, col tempo, diventano giovani. 

martedì 9 ottobre 2012

Sentire, ascoltare /60

Mentre attraverso la strada, sulle strisce pedonali, per andare al supermercato a comprare un pacco di pasta e una latta di passata, a qualche decina di metri da me un uomo brizzolato in canotta è intento a segnare l'ultima nota di uno spartito che lo renderà celebre, un altro, con la mano molle e la spuma tra i capelli, prende una busta piena di contanti in cambio di un permesso edile e la nasconde tra la cintola dei pantaloni e la pancia, una donna ha appena spogliato un avvocato con in capo una chierica grigiastra e gli sale sopra per pisciargli in bocca, un bambino biondo e riccio chiede al padre cos'è internet, un prete pelato ascolta, nel confessionale, attraverso la grata, l'ammissione di omicidio di una penitente con la treccia bruna, un ingegnere un po' stempiato ha concluso un nuovo modellino per il trasporto di gas propano liquido. 

Nonostante riesca ad immaginare queste eventualità, esse mi sfuggono; non riesco a cogliere la simultaneità delle cose umane; e il mio stare in città si limita, quando osservo la gente, a una serie di congetture -di azioni in potenza- che, però, non si realizzano, non si vedono. 

I volti di chi incrocio per le mie strade non combaciano mai completamente con il compositore, il corrotto, il perverso, l'innocente, l'omicida, l'inventore. Eppure sono tutti lì, ognuno alle prese con la propria esistenza.

Sentire, ascoltare /59


Le città sono simili a frattali: oggetti geometrici dotati di omotetia interna. Le forme si ripetono su scale diverse e i corpi si specchiano l'uno nell'altro in un gioco di auto similarità.

Gli elementi del frattale urbano sono le circoscrizioni, i quartieri, gli isolati, i palazzi, gli appartamenti e le stanze. Ciascun luogo simile all’altro, scoperchiati i tetti e osservata la città dall’alto, si scopre una geometria che ha qualcosa di ossessivo e che, però, è stata tracciata a partire da un modello architettonico desiderato, voluto, necessario.

Perché il frattale sia tale, poi, è necessario che tutte le sue parti -dalla stanza alla circoscrizione-contengano, simultaneamente, la nostra presenza; l’omotetia interna resiste se gli oggetti e le forme si ripetono ad ogni scala.

In quest’ottica, come se fossimo attori di una mimesi collettiva, tendiamo a cercare la nostra replica oltre i muri dei nostri appartamenti; tramite adiacenze parietali, attendiamo segni che certifichino la nostra presenza -identità e appartenenza- altrove, oltre il luogo in cui ci troviamo. 

Steso sul divano, nel silenzio di casa, attraverso la parete, sento un bambino suonare il flauto dolce; dall'altra, più lontana, filtra il gracchiare di una tv accesa; dal soffitto arriva l'eco di una lite; dal pavimento sale lo scroscio dell'acqua di un rubinetto.