lunedì 31 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /8

Milano. L'orchestrale. 

Dal primo dicembre 2011 Daniel Barenboim sarà il direttore stabile della Scala di Milano. La nomina del maestro scaligero, nato in Argentina da genitori russi di origini ebraiche e con anche nazionalità israeliana, pone fine a una fase di declino della musica italiana e suggerisce l'avvio di un progetto che vuole essere volàno di una cultura e di un dibattito culturale inediti. 


L'ascesa di Daniel Barenboim mi ha fatto pensare ad un autore, con una storia personale simile, che ha dedicato alcune pagine di un sua fortunata opera alla figura del direttore d'orchestra. Si tratta di Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura nel 1981, bulgaro di lingua tedesca naturalizzato britannico, figlio di ebrei con remote origini spagnole e italiane. Dice Canetti in “Massa e potere”: 

«Non c'è alcuna espressione del potere più evidente dell'attività del direttore d'orchestra. Ogni particolare del suo comportamento in pubblico è significativo; qualunque cosa egli faccia, getta luce sulla natura del potere […]. Il direttore d'orchestra sta in piedi. La posizione eretta dell'uomo è ancora importante, quale antica memoria, in molte rappresentazioni del potere. Il direttore sta in piedi da solo. Intorno a lui siede l'orchestra, dietro di lui siedono gli ascoltatori: egli sta in piedi in luogo elevato ed è visibile davanti e dietro». 

È la visibilità che conferisce potere al direttore d'orchestra. Solo, in piedi, in un luogo visibile a tutti (orchestra e pubblico) il direttore impartisce veri e propri comandi con mano e bacchetta e decide quale voce zittire e quale esaltare. 

«La differenza degli strumenti corrisponde alla differenza degli uomini. L'orchestra equivale a un'assemblea di tutti i principali tipi. Pronti a ubbidire, permettono al direttore di trasformarli in un'unità che egli farà poi divenire visibile dinanzi a loro stessi». 

Pare, in queste parole di Canetti, che l'orchestra assieme agli ascoltatori in sala rappresenti la nostra sfera pubblica. Gli strumenti musicali (fiati, percussioni, a corda) esprimono l'ampio ventaglio di opinioni e di convinzioni che circolano nello spazio pubblico; gli sguardi e il comportamento degli ascoltatori in sala rimandano alla società civile. Lo spartito, poi, sembra simboleggiare la legge, che tutti conoscono ma che solo uno può interpretare correttamente. 

Vincent Barenboim è un intellettuale e musicista capace di pensare, di fare cultura e di trasmettere passioni e significati ma è anche il direttore d'orchestra, ovvero la rappresentazione di un potere che vorremmo fosse capace di rendere tante voci un'imperitura sinfonia. 

Federico Fellini in “Prova d'Orchestra” ha raccontato con il cinema quello che Canetti ha raccontato con i libri e che Barenboim può raccontare, in modo positivo, con la sua bacchetta. 

Le note ci salvano. 


giovedì 27 ottobre 2011

Aforismi, neologismi e bestialità /2/3

Gli incubi si fanno di giorno. La notte si elaborano.

Gli uomini si impiccano da quando esistono le corde.


mercoledì 26 ottobre 2011

Aforismi, neologismi e bestialità /1


Di tanto in tanto mi capita di dire o di sentire frasi e parole che evocano qualcosa d'altro o che mi permettono di pensare a un tema in modo inedito. 
Sono probabilmente bestialità, parole per metà uomo e per metà bestia, espressioni senza capo e senza coda, idee senza senza senso o sensi senza recettori. Ne raccoglierò alcune qui, in questo blog. La prima. 

Rêversibilità. 



Neologismo e francesismo composto dalle parole Rêve e Reversibilità. 
Rêve: sogno ovvero attività psichica che si svolge durante il sonno. 
Reversibilità: la condizione di essere reversibile. 

Rêversibilità: condizione propria del sogno; si palesa quando il sognatore, durante il sonno, rivisita il vissuto della giornata e ne cambia il corso.

martedì 25 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /7

Il viaggio in Azerbaigian è concluso. Le fiamme del petrolio, il vento del Caspio, le curve delle strade verso Cabala definiscono il movimento di un paese che tende verso l'alto ma che si perde in sussulti, mulinelli e gorghi, tortuosità e grovigli. Come dicevo nel post precedente la regione caucasica custodisce una complessità unica, dalla quale scaturiscono slanci e arresti, spazi e restrizioni. 
Qui vorrei solo parlare di un episodio, del sentire e dell'ascoltare. 

In viaggio ho portato con me Palomar, un libricino di Italo Calvino in cui il protagonista (il signor Palomar appunto) osserva il mondo e ne trae esperienze e interrogazioni. Palomar si domanda del moto delle onde, delle stelle, della carne, del gorilla albino e di mille altre cose. Io lo seguo nel suo interrogarsi e assieme aggiungo le mie interrogazioni al circostante di cui -in questa specifica occasione- ho poco esperienza. 



Nella biblioteca dell'Istituto dei Musulmani del Caucaso di Baku, eretto accanto alla sontuosa moschea di Taza Pir, mi avvicino a un tavolino che fa da emeroteca. Sul tavolo sono ben allineate (forse una svista delle autorità governative che ci hanno scrupolosamente seguito nel nostro iter) tre diverse testate giornalistiche del 20 ottobre. Tre foto-notizie identiche, tre didascalie identiche, tre titoli identici, tre occhielli identici, tre testi identici. 
Ne sono rimasto affascinato. 
Non perché capissi le parole scritte in azero ma perché la monodia dei segni ha perforato la mia corazza fatta di sensi, di concetti, di giudizi. Sono rimasto in ascolto del segno, non come simbolo, non come veicolo tra significato e significante. Solo in un secondo momento ho associato al segno una serie di significati. Nel preciso istante dell'osservazione dei giornali il segno è rimasto una forza indecifrabile. 

Palomar si trova in gita alle rovine di Tula, antica capitale dei Toltechi: «Nell'archeologia messicana ogni statua, ogni oggetto, ogni bassorilievo significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa». Palomar ha una guida che decifra ogni segno e che spiega cosa significano: la vita, la morte, un dio, una costellazione. Accanto a loro passa una scolaresca. Il maestro degli studenti racconta a che civiltà appartengono, a che secolo, in che pietra sono scolpiti i vari monumenti toltechi e poi conclude «Non si sa cosa vogliono dire». La guida di Palomar dopo aver ascoltato diverse spiegazioni del maestro interviene indispettito e dice agli studenti «Sì che si sa». 
Appena la scolaresca scompare alla vista di Palomar e della sua guida la voce ostinata del maestro riprende: «No, es verdad, non è vero quello che vi ha detto quel senõr. Non si sa cosa significano». 

Non interpretare è impossibile, come è impossibile trattenersi dal pensare, dice Italo Calvino. E nel caso di questa emeroteca nel centro di Baku non è difficile trarre conclusioni. Ma non è questo il punto. Non è quello che Palomar mi ha insegnato e che destino ha voluto imparassi in Azerbaigian. 
Cosa significa per me e per gli altri qualcosa che a sua volta significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa?

Foto di Michela Ceccorulli, ricercatrice per il Forum per i problemi della pace e della guerra

lunedì 17 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /6

Domani parto per Baku, capitale dell'Azerbaigian. Il mio sarà un viaggio-studio promosso dall'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano nell'ambito di un progetto di scambio culturale. 




Negli ultimi vent'anni il paese caucasico, emerso come repubblica dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica, ha definito la propria posizione geopolitica su coordinate politico-economiche di sviluppo energetico e di multi-vettorialismo diplomatico. Il piano cartesiano dell'azione estera azera è, dunque, esteso e ancorato a incognite di difficile decifrazione; tanto più che la partita energetica coinvolge aree geopolitiche tra loro distanti e interessi economici eterogenei.
Sul piano delle libertà politiche e civili l'Azerbaigian stenta, invece, ad avviare un reale processo di democratizzazione e il paese registra bassi livelli di pluralismo e di libertà d'espressione, mancanza di storie e limitatezza di sguardi. 

Se narrazione e visione sono strumenti del potere, e se quest'ultimo implica un rapporto tra due persone, allora Orecchio muto è una sinestesia che esprime una declinazione di tale rapporto. 
Sarà interessante capire come un orecchio muto italiano, che in un paese senza senso sta a suo agio e comunica col senso di poi, saprà ascoltare e parlare, lingua a parte, in un paese che ha sicuramente un senso, seppur ovattato.

venerdì 14 ottobre 2011

La guida Sbagliata /1


Milano. I bar.



Nel settembre 1986 l'Economist promosse il Big Mac Index, uno strumento di comparazione del potere d'acquisto di una valuta.
L'indice prende in considerazione il prezzo dell'hamburger della catena McDonald's in diversi Stati del mondo e compara, con una serie di operazioni, il valore delle valute.
La classifica è aggiornata ogni anno e permette di fare utili considerazioni in termini di analisi economica comparata.

Nell'ottobre 2011 l'Orecchio muto, in collaborazione con .distributore di pelle, propone lo Sbagliato Index, uno strumento di comparazione del potere d'acquisto dei milanesi nei bar meneghini.
Lo Sbagliato, cocktail nato al bar Basso di Milano negli anni Sessanta, ha per ingredienti 1/3 di spumante brut, 1/3 di Martini Rosso e 1/3 di Bitter Campari, una lunetta di arancia e ghiaccio.

Per una città che dell'aperitivo ha fatto una bandiera e un modo di vivere gli spazi pubblici lo Sbagliato rappresenta lo stendardo della socialità urbana.
Per l'indice bisognerà aspettare ma per una guida Sbagliata si può iniziare subito.


Bar Basso
Via Plinio 39
Quartiere Porta Venezia
Prezzo Sbagliato al banco 7 euro
Prezzo Sbagliato al tavolo 10 euro

Illustrazione di Silvia Marinelli

giovedì 13 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /5

Milano. Gli eventi.


Il Devoto-Oli definisce l'evento «un fatto o un avvenimento che già si è verificato o che può verificarsi, di solito determinante nei confronti di una situazione oggettiva o soggettiva».
La definizione suggerisce qualcosa che accade e cambia lo stato delle cose. Tuttavia si avverte una forte discrasia tra il significato della parola e la sua proiezione nell'immaginario di chi ha esperienza della parola stessa. 
Tutto è evento. Facebook ha un etichetta specifica per gli eventi, Google registra 49.200.000 voci per la ricerca “evento Milano”, i Festival sono una estenuante concatenazione di eventi e via dicendo.
Nulla di male a usare una parola per un'altra. Mi chiedo però quando ci sarà un evento determinante nei confronti di una situazione oggettiva o soggettiva come verrà chiamato. Rivoluzione, termine già impoverito del suo significato? Oppure bisognerà oggettivarlo? Ad esempio chiamandolo “evento clamoroso”, espressione che per altro compare già nel dizionario dei sinonimi online di Homolaicus?
Forse è necessario ripensare al modo di definire i concetti per cambiare la realtà dei fatti.
Io opterei per appuntamento.

mercoledì 12 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /4

Milano. Palazzi.


La città è un brusio pulviscolare nel quale piroettano alcuni suoni ricorrenti. Il clacson, il passaggio del tram sulle rotaie, le suonerie dei cellulari, i freni del motore, il segnale acustico dei semafori per i pedoni, lo scampanellio delle bici quando passano sul basolato lavico irregolare. Sono suoni di cui ogni cittadino meneghino e ogni city user dell’hinterland hanno esperienza. Sono suoni legati al concetto di mobilità.
Del resto il suono è la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione.
Se Milano è un nodo di una rete globale allora oscilla molto, si muove e fa rumore. Lo fa con i suoi specifici suoni di movimento ma anche con le immagini, i cartelloni pubblicitari, i video messaggi, i volantini, gli eventi (di cui parlerò in un altro post). Si muove, fa rumore e non si riesce più ad ascoltare.


Esiste, però, una dimensione di Milano che sfugge al movimento e che suggerisce una cartografia della città alternativa. Quella dei palazzi. Parlo di quei palazzi del primo Novecento che hanno una corte interna, solitamente con al suo centro un albero, su cui si affacciano decine di finestre. Lì c’è silenzio e pur arrivando una pallida eco dei rumori della città globale si riescono a sentire le conversazioni dei vicini. Nitide, semplici, lente. 
Alle finestre di quei palazzi non ci si estende lungo le coordinate del tempo ma si continua ad abitare quelle dello spazio, che tutti considerano ormai inutili come uno stradario del ’73.

martedì 11 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /3

«L'impressionista è l'uomo degradato a grammofono del mondo esterno […]. Non ha bocca; è incapace di parlare del mondo. 'L'orecchio è muto, la bocca è sorda', dice Goethe, 'ma l'occhio sente e parla'. L'occhio dell'impressionista sente soltanto, non parla; accoglie la domanda, non risponde. Invece degli occhi gli impressionisti hanno due paia d'orecchi; ma non hanno bocca. Giacché l'uomo dell'età borghese non è che orecchio, ascolta il mondo ma non gli alita sopra. Non ha bocca; è incapace di parlare del mondo, di esprimere la legge del mondo. Ed ecco l'espressionista riaprire all'uomo la bocca: fin troppo ha ascoltato tacendo, l'uomo: ora, vuole che lo spirito risponda».
Expressionismus di Hermann Bahr (1916)

La citazione dentro la citazione rende questo post decisamente espressionista. Con buona pace per l'impressionismo.
Del resto lo sapeva bene anche Van Gogh che ha abbandonato l'impressionismo per farsi portavoce di un nuovo modo di sentire il mondo. Ma anche lui ha perso l'orecchio. E ha voluto raffigurarsi così. Mono.


lunedì 10 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /2

Metropolitana di Milano.


Il passeggero con l'iPhone e gli auricolari ascolta. Chi volesse chiedergli qualcosa non avrebbe il piacere di una risposta.

Il passeggero con il telefonino a viva voce ascolta, sente e può parlare. Chi volesse interloquire con lui o chi si trovasse nelle sue vicinanze dovrebbe, però, abbandonarsi al sottofondo musicale imposto dal passeggero in questione.

Il passeggero senza cuffie e senza musica, di tanto in tanto, in banchina, deve ascoltare i messaggi pubblicitari, vocali e musicali, che l'Atm diffonde con altoparlanti nelle più affollate fermate metropolitane.

Chi volesse evitare imposizioni musicali dovrebbe comprare l'iPhone e gli auricolari.

Sono passeggeri affetti da mono sordità. Tutti.
È il teorema dell'orecchio muto metropolitano.

venerdì 7 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /1

Orecchio muto è una sinestesia, figura retorica che accosta due termini di piani sensoriali diversi. Una forza evocativa notevole. Soprattutto per me, che non sento da un orecchio. Sordo per metà. Mono auricolare.

Non è mai stato un grave problema. Alle scuole elementari, quando si giocava al telefono senza fili, ero il bambino che faceva fallire ogni catena. La parola bisbigliata nel mio orecchio diventava un'altra parola. Ero il disturbo. Una sorta di inconsapevole sabotatore mediale ante litteram. Al liceo, durante i compiti in classe, non ero in grado di captare alcun suggerimento. E non è vero che la perdita di un senso ne potenzia un altro. Almeno per le mono perdite. Non riuscivo nemmeno a leggere il labiale dei miei compagni che dopo tre tentativi abbandonavano ogni speranza.
Dalla maggiore età la parziale sordità dà noia in macchina, d'estate, al posto di guida. Se vuoi ascoltare il passeggero, e non senti dall'orecchio destro, sei costretto a tirare su il finestrino e a morire di caldo. Oppure puoi tenerlo giù, sentire l'aria fresca che ti accarezza l'orecchio e ascoltare esclusivamente il rumore degli pneumatici sull'asfalto.
Sono molte le persone che hanno l'orecchio muto, metafore comprese.
Io ne ho conosciute almeno una decina, così per caso, fuor di metafora. È una comunità molto grande, quasi una loggia massonica. È raro pizzicare due membri assieme ma quando li incontri non cercare di interrompere la loro conversazione, non ci riuscirai. Non ne vorranno sapere né sentire.
Questo è un blog di orecchie mute che in un paese senza senso stanno a loro agio e comunicano col senso di poi.