lunedì 26 dicembre 2011

Sentire, ascoltare /22

Il fumetto animato è una sequenza di immagini che differiscono tra loro di un nonnulla. Se le pagine vengono scorse rapidamente, una dietro l'altra, i disegni prendono vita, i segni acquistano senso, la linea si fa immagine compiuta e le rappresentazioni statiche diventano oggetto di interpretazione dinamica
Se ogni giorno scattassimo una foto tessera potremmo dare un senso, probabilmente più di quanto la sola memoria possa fare, al nostro trascorso, al passato, alla rappresentazione della realtà che il nostro viso ha espresso negli anni. Abbiamo, invece, nel cassetto, una manciata di foto tessere che hanno un qualcosa che le accomuna e tanto altro che le distingue. 
La città obbedisce alla stessa legge. Milano dopo dieci, venti, cent'anni è sempre Milano ma se messa a confronto alla città passata, quella odierna ha poco in comune. 
Nel fumetto, da una sequenza a un'altra, il mutare dell'immagine, poniamo di un uomo, si afferra in un dito alzato, nelle foto tessere in una ruga, nella città in una pietra. 
È il fascino immenso dell'archeologia umana e urbana.

Un impiegato dell'Atm, probabilmente intento ad aggiornare il piano delle linee metropolitane della città, ha scoperto essere ancora incollato sulla parete del vagone il piano della prima (credo) linea verde di Milano (qui sotto).

La foto, scattata oggi in metropolitana, mostra la linea
verde di qualche decennio fa, con il capolinea a Garibaldi

È un'istantanea della vecchia città, un dettaglio che spinge l'osservatore a chiedersi dove sono tutti gli altri fotogrammi della Milano sotterranea, a ricordare e a dar senso a un trascorso comune. 

martedì 20 dicembre 2011

Sentire, ascoltare /21

La città. I dettagli. 

La teoria del clima di Montesquieu si affaccia ai palazzi della metropoli e sulle dita dei passanti fa capolino la Moda di Simmel. 
Milano sfoglia le pagine di questi due pensatori. Il gelo delle campagne assedia i confini urbani e ne conquista le arterie di comunicazione. Folate di vento si acquattano dietro i vicoli e come briganti assalgono i passanti. Le chiazze d'acqua gelate attentano il cammino degli avventori dei bar del mattino. 
Umore e tempra del tessuto urbano vibrano a un tocco nuovo, di idee e di moda. 
Ho raccolto tre guanti, scivolati da tasche e borsette di pendolari del metrò. Uno di lana marrone, poco fa, stava abbandonato su un sedile. Molti erano poggiati, questa mattina, su un banchetto al sovrappasso di Porta Genova. Decine, appaiati, spuntavano dalle maniche di cappotti neri. 
La città è un dettaglio che segna il tempo.

giovedì 15 dicembre 2011

Aforismi, neologismi e bestialità /10


Neologismo composto dalle parole Ego e Gonfiare. 
La declinazione del verbo ammette una duplice pronuncia.  
Io mi gonfilègo, io mi gonfìlego
Il termine indica un climax psicologico, tale per cui l'autostima di un uomo cresce a dismisura.  



Lo short

Interno di appartamento a Milano. 
Fifì, Saro e Luchino detto Orecchio Muto si guardano.

“Bevi”. Dice Fifì allungando una birra. 
Saro respira adrenalina e polvere da sparo e gli occhi luccicano di viva eccitazione. Sembra un maniaco, un pazzo in estasi. È un sadico che ammazza solo se necessario ma quando lo fa gode. 
Nell’appartamento in via Passione Fifì e Luchino lo hanno aspettato giocando a briscola, senza discutere dell’operazione. 
“Racconta”. Dice Luchino. 
Saro vive per la gloria, freme, non riesce a stare fermo, ha i nervi a fior di pelle e le parole escono tutte filate e così ben dette che sembra stia recitando un monologo preparato da tempo. Descrive ogni cosa con minuzia di dettagli, enfasi, voce rauca e profonda, le assurdità paiono reali. 
Ha ammazzato un magistrato, gli ha strappato dalle mani i documenti e se n’è andato, ma da come dice lui ha messo a segno la grande rapina al treno raccontata da Michael Crichton. Si gonfia, diventa un gigante, pare che il morto assassinato riempia le sue ossa, i muscoli, la mente. 
Il torace è una voliera, la pelle si fa dura come un tamburo e lui è orgoglio e delirio. È gonfilegato, è una mongolfiera di vanesia criminalità e di sangue che pulsa. 
“Ti ha seguito qualcuno?”. 
“Sì, uno sbirro in moto ma gli ho sparato”. 
“Luchì accendi la tv”.


Il neologismo è frutto della fervida immaginazione lessicale di Silvia Marinelli.

lunedì 12 dicembre 2011

La guida Sbagliata /3


Luca's Bar. La scritta sul fregio in plastica, appena illuminata da un neon impolverato, denota un'anglofilia di bassa lega. La 's stona in una Milano che non ha nulla dell'aplomb britannico ma non stride. Si nota appena, in fondo, quell’orpello lessicale e si sposa, meglio di un di, con la parola bar. Quest’ultimo, poi, non c’è dubbio sia un vocabolo inglese, e gradevole ben più di barra o barro, termini che comprimono, in un grugnito tra denti, prepotenza e arroganza di un’epoca vile e malata di esterofobia.

Nonostante tutto ciò Luca’s bar tesse, attorno al suo scialbo aspetto esteriore, una tela di mistero e di interesse. È, infatti, l’assenza di forti segni identificativi che induce il passante a immaginare un mondo possibile, stipato tra una spillatrice e alcuni tavolini. Non è cosa di questo solo bar ma di molti.
Entriamo. Dov’è Luca?
Illustrazione di Silvia Marinelli

Non c’è il fu Luca’s ma un nuovo proprietario: Jin Wenjing. Mi chiedo cosa possa significare per lui, nato nella grande Cina, una s apostrofata. Certo è che ha pensato di non sostituire l'insegna del bar e di mantenere così un legame con la gestione precedente, il quartiere e quell’immaginario espressivo che si appiglia ai semafori, ai cornicioni, alle aiuole, ai neon e a tutto quanto c’è in un luogo e che fa il luogo.

La figlia di Jin ci serve due Negroni Sbagliati senza ghiaccio in boccali di birra da oltre mezzo litro. Nulla da ridire e poi nulla da ricordare, se non la clientela. Gente di Milano che parla italiano senz’altro, ma anche albanese, rumeno, francese e una manciata di dialetti dell’oltre oltre oltre Po.

Questa non è una parabola. Piuttosto il breve e parziale resoconto di una piacevole serata passata a Milano, città che nasconde prospettive e visioni particolari e cangianti. Basta oltrepassare la soglia di un bar. In entrata e in uscita.

Bar Luca's
via Ronchi 35
Quartiere Udine
Prezzo Sbagliato 4 euro

giovedì 8 dicembre 2011

Sentire, ascoltare /20

C'è, in tutta questa faccenda, un qualcosa di invidiabile. L'orecchio muto non apre al mondo del visibile e della realtà ma a quello dei sogni. È sufficiente poggiare l'orecchio che sente al cuscino. Rumori, ticchettii, ombre uditive, remote echi di elettrodomestici, passi del piano di sopra cessano di esistere e al loro posto si fa spazio, prima che in tutti gli altri, una cornucopia di suoni della notte che dorme. È il sogno, condizione che non ha nulla a che vedere con la socialità, la vita di città, le parole. Perché il proprio sogno non si ricorda mai del tutto e non lo si può spiegare a nessuno; e si sa che quando non siamo in grado di raccontare un fatto o di definire un concetto non conosciamo bene il fatto o il concetto medesimi. 
Dunque il sogno rimane un'esperienza personale, privata, comunicabile solo a se stessi. Forse è per questo che i romanzieri -i russi sono dei maestri- quando raccontano di sognatori insinuano il dubbio della follia. Essa, nonostante sia inesprimibile e indefinibile come il sogno, pare tangibile perché crediamo di poterla identificare con dei volti di uomini. Così la follia diventa l'abito del sogno. 

Mi è capitato di sognare storie talmente chiare e limpide da credere, nel sogno stesso, di non doverle appuntare su un foglio affinché le potessi ricordare il mattino, bensì che la loro forza esplicativa fosse così poderosa che le avrei tenute a mente anche da sveglio. Non è stato così naturalmente. 
Il sogno rivela e testimonia la verità ma questa è destinata a un mondo che non ha nulla a che fare con la comunicabilità e la condivisione. La verità si ha nei sogni, che sono cosa umana ma personale. E la pazzia è la sua espressione in carne ed ossa nella realtà che viviamo assieme. 

«Suonarono le tre. Kovrin spense la candela e si coricò; rimase a lungo a occhi chiusi, ma non poté addormentarsi perché -così almeno gli pareva- in camera da letto faceva molto caldo e Tanja parlava nel sonno. Alle quattro e mezzo, accese di nuovo la candela e in quel momento vide il monaco nero seduto sulla poltrona vicino al letto. “Salve”, disse il monaco, tacque un po' e poi chiese: “A cosa stai pensando?” […]. Tanja intanto si era svegliata e guardava il marito sgomenta e inorridita. Parlava rivolto alla poltrona, gesticolava e rideva: i suoi occhi scintillavano e nella sua risata c'era qualcosa di strano». 
Il monaco nero di Anton P. Čechov 

lunedì 5 dicembre 2011

Sentire, ascoltare /18 bis

“Cosa fai lì dietro?”
“Sto cercando di guardarti come se non ti conoscessi”
“E cosa provi?” 
È difficile spiegare e mi fa paura”


domenica 4 dicembre 2011

Sentire, ascoltare /18

Milano. Domande. 

Il proprio passo, in relazione al passo degli altri, è l'unità di misura delle metropoli. Passi lenti, passi voraci, passi ciondolanti, passi di tacco a spillo, passi cadenzati, di corsa, furbi, frenetici, a coppie, a branco, fermi, indecisi, ripensati, ripercorsi. 
I semafori allineano ogni passo, regolano i flussi, frenano l'estro del movimento pedonale e danno sfogo all'azione ciclica e monotona delle ruote: bici, auto, bus. Torna, poi, il passo dei cittadini; si intersecano, a volte si scontrano, altre sussultano come fosse una danza tribale, lasci il passo tu o lo lascio io

Il passo quanto più è accompagnato da altri passi tanto più esprime le potenzialità di una città. Non è cosa nuova. La Prospettiva Nevskij di Gogol racconta una vicenda, la storia di un'arteria di Pietroburgo, che oscilla tra il sogno e il suo prosaico contraltare. C'è tutto. 
Nel cinema, invece, una ripresa della folla che cammina, tra una scena e un'altra, intende ricondurre la trama del film ad una delle infinite dimensioni che la città possiede. 


C'è poi un momento, nel fendere il magma umano, in cui ci si perde e si prova un profondo spaesamento; ovvero quando si intravede una persona cara che non ci si aspettava di incontrare in quel luogo sconosciuto che è la folla. Allora si attiva un ingranaggio emozionale che apre ad alcune domande. Chi è? Lo conosco davvero? È mai possibile che sia qui, nel luogo dell'indifferenza? Dunque ha una vita anche lui di uomo, di individuo, di solitudine? Quante cose di lui non so? Quante sofferenze indicibili o esperienze inespresse cela il suo volto amico? Ecco tutto ciò fa pensare, anche a se stessi e vorrei, un giorno, poter mettere tutti in fila come fa Federico Fellini in 8½.