domenica 4 dicembre 2011

Sentire, ascoltare /18

Milano. Domande. 

Il proprio passo, in relazione al passo degli altri, è l'unità di misura delle metropoli. Passi lenti, passi voraci, passi ciondolanti, passi di tacco a spillo, passi cadenzati, di corsa, furbi, frenetici, a coppie, a branco, fermi, indecisi, ripensati, ripercorsi. 
I semafori allineano ogni passo, regolano i flussi, frenano l'estro del movimento pedonale e danno sfogo all'azione ciclica e monotona delle ruote: bici, auto, bus. Torna, poi, il passo dei cittadini; si intersecano, a volte si scontrano, altre sussultano come fosse una danza tribale, lasci il passo tu o lo lascio io

Il passo quanto più è accompagnato da altri passi tanto più esprime le potenzialità di una città. Non è cosa nuova. La Prospettiva Nevskij di Gogol racconta una vicenda, la storia di un'arteria di Pietroburgo, che oscilla tra il sogno e il suo prosaico contraltare. C'è tutto. 
Nel cinema, invece, una ripresa della folla che cammina, tra una scena e un'altra, intende ricondurre la trama del film ad una delle infinite dimensioni che la città possiede. 


C'è poi un momento, nel fendere il magma umano, in cui ci si perde e si prova un profondo spaesamento; ovvero quando si intravede una persona cara che non ci si aspettava di incontrare in quel luogo sconosciuto che è la folla. Allora si attiva un ingranaggio emozionale che apre ad alcune domande. Chi è? Lo conosco davvero? È mai possibile che sia qui, nel luogo dell'indifferenza? Dunque ha una vita anche lui di uomo, di individuo, di solitudine? Quante cose di lui non so? Quante sofferenze indicibili o esperienze inespresse cela il suo volto amico? Ecco tutto ciò fa pensare, anche a se stessi e vorrei, un giorno, poter mettere tutti in fila come fa Federico Fellini in 8½. 

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