martedì 24 gennaio 2012

Sentire, ascoltare /24

L'aria di città lo avrebbe ucciso. Il medico, amico di famiglia, aveva allertato la sorella di Kovrin dopo una visita d'urgenza. I livelli elevati di PM10, la frenesia della metropoli, il colore cupo del cielo e altre specifiche condizioni urbane e atmosferiche influivano negativamente sul sistema nervoso di Kovrin. Era affetto da una malattia che colpisce individui sensibili e umorali fuor di ogni misura. Solo i veri luminari, non quelli che si spacciano per tali, sono in grado di diagnosticare questo morbo. 
Kovrin avrebbe dovuto prendersi una pausa dalla città e trasferirsi per qualche mese in una località di mare. Ma il nostro eroe, oramai smunto da una malattia dell'animo piuttosto che del corpo, non ne voleva sapere di lasciare il quartiere della donna che amava. Un amore corrisposto ma definito da entrambi gli amanti impossibile. Sarebbe morto. Morto d'amore? No, morto di follia piuttosto. 
Pallido, itterico, inebetito e irriconoscibile a se stesso, tanto da guardarsi allo specchio come se fosse la prima volta, Kovrin era in preda ad allucinazioni e visioni. Ma bruciassi all'inferno! potevano anche essere reali presenze, di quelle manifeste a sole poche deputate persone. Su questo non posso dar certezza poiché il racconto che qui riporto mi è stato confidato da Kovrin in persona e la sua dovizia di particolari ha messo in scacco le mie ragioni e ha esposto il mio intelletto ai venti del dubbio e dell'esitazione. 
Era notte e sul soffitto si stagliavano le luci dei fanali delle sparute macchine che fendevano, sulle strade della città, una nebbia fitta e carica di malinconia. 
“Kovrin, svegliati Kovrin”. Il giovane ragazzo aprì gli occhi da un sonno leggero e vide l'uomo incappucciato che da alcune settimane non si era più visto. La visita lo consolò poiché poteva parlare del suo amore tormentato ed essere certo di venir compreso. L'ospite aveva parole giuste per alleviare il suo dolore. Kovrin per lo più taceva e annuiva con un sorriso sottile, quasi inesistente. 
“Hai dubitato di me. Eppure eccomi ancora qui. Non temere, non sei un incompreso, ci sono io. La cosa più dolce al mondo è la comprensione poiché nella comprensione c'è l'onestà, la verità e la mancanza di tradimento”. Kovrin allungò le labbra e gli occhi gli luccicavano, quasi fossero quelli di un gatto nelle tenebre. 
“La tua donna corrisponde il tuo più profondo desiderio, ma non può aprirsi come vorrebbe poiché nasconde qualcosa a se stessa e ha paura che tu possa svelarle il suo segreto”. 
Kovrin aveva le coperte sino alle cosce, il busto rigido e lo sguardo dritto e vigile. Era quasi deciso a rispondere all'ospite, o forse l'aveva già fatto, quando entrò in camera la sorella. Kamila, così si chiamava, vedendolo in quello stato, sudato, bianco, lucente, si mise a piangere e lo prese tra le braccia. 
Kovrin schiuse le labbra in un urlo profondo e lamentoso, poi cadde addormentato. 
Il giorno dopo, preparate le valigie, Kamila lo accompagnò alla stazione dei treni con due biglietti per una piccola città di mare di una riviera italiana.


lunedì 16 gennaio 2012

Sentire, ascoltare /23

Il termine tradizione vuole che un patrimonio culturale si trasmetta nel tempo. Non è chiaro, non del tutto, quale sia il patrimonio che si tramanda e da quali comunità esso venga custodito. Il proprio gruppo di appartenenza spesso supera i confini della città, del paese e del continente che si abitano e si perde in tempi non adiacenti a quelli vissuti in linea ereditaria. Pare, per questo motivo, di conoscere situazioni che per nulla appartengono al proprio vissuto e di sentirle molto vicine, personali, proprie. In parte credo faccia parte del concetto di tradizione, in parte credo sia un'esperienza relativamente nuova nella storia dell'uomo. Mi riferisco in particolar modo ai costumi. 


Ieri sono entrato in un bar di Milano con un'atmosfera particolare, trasognata, filmica. C'era un bancone come mai ne avevo visti e ho chiesto al barista di che anno fosse. Mi ha risposto che il bancone, di una lega ai miei occhi raffinata, di stagno e zinco, fu installato nel 1910. Una favola. Ho bevuto un caffè e ho pensato ai cappelli che gli uomini indossavano all'inizio del secolo. Ho immaginato infiniti borsalini piroettare lungo quel bancone e tra i tavolini del caffè. Ho pensato che molti tenessero il cappello in mano e che molti altri lo lasciassero ad appendiabiti posizionati all'ingresso. Che fosse facile scambiare il proprio borsalino per un altro e che fossero molto frequenti i furti di cappelli. Che i più accorti facessero dei segni all'interno della cupola per riconoscere il proprio. Che se fosse ancora così non ci troverei nulla di male e che mi ci abituerei in fretta. Mi è sembrata, tuttavia, una vicenda americana piuttosto che italiana. Ma in questo, forse, mi sbaglio.

lunedì 9 gennaio 2012

Aforismi, neologismi e bestialità /11

Avanscoperta: esplorazione compiuta da reparti militari per studiare il terreno. 
Avance coperta: sortita galante, celata da modi bruschi. 

A ben vedere, e in un certo qual modo, sinonimi omofoni.

Naviglio grande, Milano. Fuori da un noto locale notturno. 
Fifì e Saro entrano, Luchino detto Orecchio Muto si attarda lungo il canale. 

“Cosa ci fai qui, Minnie?” 
“Sono venuta a cercarti”. 
“Non avresti dovuto, lo sai che è tutto finito”. 

Luchino le prende il mento in mano, si espone, vuole leggerle negli occhi. Cosa pensa, cosa vuole. Lei sorride. 
“Sei bella Minnie, ma non mi piaci più. Non sei degna dopo quello che hai fatto”. 
La carezza scivola via e la mano pesante vibra nell'aria. Lo schiaffo arriva in pieno volto e d'istinto Minnie porta la mano alla guancia. Piange Minnie e si inginocchia sul basolato duro e freddo di un inverno senza cuore. 

Fifì sbuca fuori dal locale, per un attimo. 
“Luchì vieni, ti stiamo aspettando”. 
“Arrivo” poi, senza voltarsi, fermo, per un istante “ciao Minnie, addio”.

domenica 1 gennaio 2012

La guida Sbagliata /4


Illustrazione di Silvia Marinelli

Ancor prima di avvertire sulla lingua il retrogusto di arancia e Campari, il sorso di cocktail mi esplode nel fegato. L'afrore dei soldi e il tintinnio delle monete sull'alluminio di una slot machine, che segna un poker di limoni, sanno di crisi e di economia marcia, d'azzardo a perdere.
Il bar si affaccia su una misera traversa di una nota arteria della città, è l'anticamera di una criminalità latente, la cartina tornasole di un paese che caracolla in avanti, colpito alla schiena da un pugnale ignoto che nessuno ha il coraggio di sfilare. 

Un uomo dai lineamenti arabi, che ha l'aria di conoscere questo bar come le sue tasche, discute al telefono, in inglese, di affari e sangue. 
I'm a business man, ok? You are my god but I want respect and I want your friend Nico here, in five minutes, ok?
Me lo dice in faccia, come se non valesse più la pena nascondere i propri affari sporchi. Sento la testa pesante e il corpo inchiodato a terra. 
Non è mancanza di lucidità ma la spiazzante rivelazione di un dettaglio che mi ha permesso di capire una storia che fino a poco prima mi sfuggiva.

La deflagrazione assordante della bomba piazzata alla sede di Equitalia, la sensazione tattile dei polpastrelli sulla carta ruvida di una busta contenente un proiettile, la rapina a un blindato portavalori, la protesta di un manipolo di uomini alle terme di Caracalla contro un sistema senza nomi. L'ultimo capitalismo, l'epilogo di una supremazia, il prologo di un nuovo ordine mondiale e in mano un cocktail gelido che filtra ogni idea. 

Mi può cambiare?
Sono cinquecento euro. Allunga la banconota al cinese in cassa, che conta dieci pezzi da cinquanta nelle mani del cliente. Una transizione semplice, portata a termine con la mia lingua, che a me serve solo a chiedere un Negroni Sbagliato.
Bevo e fisso la gente del bar mentre penso cose mie. Mi dicono, chi sta con me, di smetterla, che sembra che voglio attaccar brighe. Invece no, mi sto solo specchiando, mi pare di sentir montare la violenza, la non sopportazione, il rifiuto, l'anarchia meno nobile, il desiderio di farcela con un gratta e vinci e l'impossibilità di avere un nemico con il quale prendersela. 

Entri in questo bar di via Tadino, che però lo scontrino dice di trovarsi in via Palazzi, e sei in un rotocalco di cronaca nera. Ma non c'è nulla di sensazionale, niente di inaudito, qui ci si allena al male. Ed è solo un bar in un paese di bar.


Bar Caffè Venezia
via Tadino 6
Zona Porta Venezia
Prezzo Sbagliato 3,50 euro


Niente di quello che avete letto è esistito. Tranne, ovviamente, ciò che è vero.