giovedì 1 settembre 2016

Morte a Kardamíli

Illustrazione di Silvia Marinelli 

Ore 10.30
"Rooms!". "Dove?". "Là, dietro l'insegna dei souvlaki". "Vai, fiondati, io aspetto più avanti, dove c'è lo slargo". È dalle nove che battiamo la costa in cerca di una stanza. Full, full, full. Tutto esaurito.
"C'è posto". "Oh vivaddio, quanto chiedono?". "Trentacinque a notte per tre notti". "Ottimo". "Hai già visto la camera?". "Sì ma...". "Che c'è?". "Non so, i proprietari hanno qualcosa di brutale nello sguardo". "In che senso?". "Sono padre e figlio, hanno quel negozietto di souvenir, c'è odore di zolfo misto a muffa, e gli scintillano gli occhi di una luce incestuosa; le stanze sono dietro, nascoste, tra gli ulivi, mi sono spaventata, non c'era nessuno, ho avuto paura". "Su rilassati, hai letto anche tu la guida, siamo nella zona più selvaggia del Peloponneso, è normale che la gente sia un po' ruvida, terra terra, non farti impressionare. Se vuoi cerchiamo ancora, la strada finisce poco più avanti, dopo quella chiesetta di pietra, ma se non troviamo nel paese torniamo da loro". "Ok, ma non troveremo altro, hanno detto che qui ci sono solo le loro stanze".

Ore 11.20
Sul provinciale poche case, il paese è davvero piccolo, tutto schiacciato tra i campi che inerpicano sui monti e l'Egeo. Sembra non ci siano turisti, eppure il mare è bello, trasparente, piatto. Spiaggia di sassi e scogli. Ci sono bastate due boccate d'aria sul bagnasciuga per sciogliere la stanchezza.

Ore 11.30
Risalendo dal mare incrociamo un cocomeraio, ci fissa e null'altro. C'è un'anguria aperta a metà sul banco, è putrida e ai semi si confondono le mosche. Sul provinciale un contadino guida un trattore e sul carro a traino ciondolano, tra covoni di paglia, tre uomini con berretto. "Hanno tutti gli stessi occhi duri e impietosi". "Quello sembra il mostro di Avetrana". "Giancarlo piantala, mi fa paura qui". "Ma dai che scherzo, è così bello e isolato, tutto per noi, c'è pure una taverna con giardino, guarda lì, siamo nel posto giusto per riposare; torniamo dai tizi a bloccare la stanza, vengo anch'io questa volta".

Ore 11.40
"Kalimera". "Kalimera". "Siamo tornati per la stanza, anziché tre notti vorremmo passarne due". Silvia ha ragione, hanno qualcosa di bestiale, di collerico, sembrano quei satanassi grigi che adornano le pareti di alcuni monasteri ortodossi. Il padre è seduto su uno scranno di vimini e tutto attorno sono anfore di terracotta, a decine. Non ci degna di sguardo, parla solo col figlio, che accondiscende alle sue decisioni: "Se state tre notti vi facciamo lo sconto".
Accettiamo, e ci pare un bel colpo di fortuna, la costa dopotutto è sold out, c'è il ponte di Ferragosto. 
Christos, così si chiama il figlio, prende le chiavi della stanza e ci fa segno di seguirlo. È una stanza ampia, spartana ma non manca di nulla; è tra gli ulivi, isolatissima, dietro un capanno che si raggiunge costeggiando un muretto di pietra coi cocci di vetro in cima. Ci sono ferri vecchi, travi di legno, mattoni, tanti vasi e piante strane, alcune mai viste, e poi un gran cicalare.

Ore 12
Christos bussa alla porta, ci chiede se abbiamo l'auto e insiste perché la portiamo davanti alla nostra stanza. È chiaro l'avesse già vista, i paesani hanno mille occhi, diecimila fessure da cui scrutare. C'è uno spiazzo e una stradina sterrata che porta al provinciale. Io lascerei l'auto dov'è, perché il parcheggio non è poi lontano ed è pure all'ombra. Ma Christos, che avrà cinquant'anni e sembra un toro, piccolo ma tarchiato, con gli occhi saldi sui miei occhi insiste; e allora vado a prenderla e lui aspetta lì di fronte alla nostra camera, vuole vederla. Tre gattini randagi maculati miagolano ai suoi piedi. Poi ci chiede un documento per le pratiche di alloggio.

Ore 12.10
"Silvia ti prende il wifi?". "No, per nulla". "Che strano, non c'è proprio segnale".

Ore 12.30
Decidiamo di andare al mare, siamo qui per questo, ma prima passiamo dal negozio di souvenir per la carta d'identità. 
Non dico niente a Silvia ma sento montare una calda inquietudine, è tutto troppo isolato qui, e Christos ha modi bruschi, al limite dell'arroganza. Ci chiede se è la prima volta che passiamo da queste parti, suona come una minaccia. Silvia gli dice che sì. Le dico di non rivelare altro, che meno sa di noi e meglio è.

Ore 14
Il mare è tiepido e parecchio salato. Dopo il bagno, una discreta nuotata dove ancora si tocca, sento addosso un vigore inaspettato, una forza viva nelle braccia, e anche Silvia dice di sentirsi potente, usa proprio questa espressione. Potente. 
C'è come un fumo che sale dal mare, e ristagna a pochi centimetri dal pelo dell'acqua. Prima non ci avevamo fatto caso.

Ore 15
Ci viene una gran fame e andiamo alla taverna, la sola taverna del paese. Siamo ancora incredibilmente soli. Mangiamo stufato di agnello, chiediamo anche il bis, mai avuto un simile appetito. Paghiamo, costa tutto meno che altrove. L'oste ci tiene a presentarsi, sorride ma non ha alcuni denti, fa ribrezzo e non si capisce bene quel che vuole dire, ma afferriamo essere il cugino dei nostri ospiti. Mi stringe la mano, è ruvida e nera sotto le unghie, stringe forte ma io stringo di più, tanto che gli scappa un'esclamazione di dolore.

Ore 15.30
Rientriamo per rinfrescarci. Mentre Silvia è in bagno mi siedo sull'uscio, leggo il quinto numero di UT, un nuovo romanzo a fumetti della Bonelli.
Guardo l'ora, alzo gli occhi, Christos è lì, fermo a qualche metro. Mi fissa. Non dice niente, sta impugnando una carriola. Non lascio il suo sguardo e lui abbandona la presa. Poi entra nella stanza accanto alla nostra, abita lì. Sento dei miagolii spaventosi. Entro in camera e controllo non ci siano buchi sulla parete comunicante. Mi pare non ci sia nulla.

Ore 16 
Quando vado in bagno io, Silvia esplora i dintorni. Mi riferisce che c'è un tavolo di ferro arrugginito, pieno di attrezzi: seghe, cacciaviti, morse. "Sembra un set dell'orrore" mi dice. C'è anche un buco, una specie di fossa fresca di scavo. Abbiamo entrambi paura ma ci diciamo pronti a tutto.

Ore 18.30
Siamo stati ancora al mare, nessuno, se non alcuni sub che hanno ancorato un veliero a largo. L'acqua sembra miracolosa, quando ne usciamo si rinsalda la sensazione di forza e di vigore. Gli occhi di Silvia scintillano. Io ho sempre in mente Christos, lo dico a Silvia che confessa di provare lo stesso, come se la sua testa fosse impossessata dall'immagine del nostro ospite. Ripensiamo ai fatti del giorno per fare ordine, per scacciare le fantasie con la logica: l'auto nascosta dal provinciale, l'assenza di segnale, il paese che è una sola famiglia, l'insistenza a trattenerci da loro, quegli sguardi famelici di Christos e del cugino e di tutti questi fattori, la buca, il tavolo degli attrezzi. 
La paura ci cova dentro assieme a una mai provata sensazione di potenza.

Ore 19
L'acqua della doccia è fredda, ci laviamo veloci e dalle nostre spalle sale quello stesso fumo che soffia dal mare.

Ore 20
Siamo di nuovo alla taverna. C'è Christos con tutta la famiglia a cenare, ma non ci sono donne. Guardano tutti Silvia, io è come se non ci fossi. Hanno un maledetto sguardo caprino, e a un certo punto ridono di noi. Ne sono certo. Usciamo e Silvia piange per la paura, cerco di rassicurarla, che siamo forti, più forti di loro, che tutta quella energia presa dal mare è a nostra protezione.

Ore 21 
Siamo in stanza, non c'è più luce, in paese non vogliamo andare. Dalle tapparelle a soffietto spiamo l'oscurità e ci sono come degli occhi gialli che scintillano nel buio. "Silvia quello è Christos ". "Sì, è lui, e guarda! quegli altri occhi laggiù, oddio sono loro".

Ore 22 
Christos sta armeggiando fuori dalla stanza, dove c'è il tavolo, è vicino, troppo. Sembra solo, anche se nella macchia continuano ad esserci scintillii, tipo lucciole ma credo siano occhi. Sta armeggiando con un coltello. Dico a Silvia di passarmi l'ombrellone, mi sembra leggerissimo. "Tu apri la porta, rapida".

Ore 23.
Ho colpito Christos talmente forte che ci è rimasto sul colpo. Sul tavolo due tazze, una brocca, il cestino col burro e le marmellate confezionate. In mano impugna ancora il coltello avvolto in un fazzoletto di carta. Nessuno ha sentito nulla. Solleviamo il corpo con un'agilità impressionante e lo buttiamo nella buca che Silvia aveva adocchiato prima. Lo ricopriamo di terra. "Guarda, ci sono dei limoni pronti per la piantumazione". "Aiutami a interrarli".

Ore 24.
"Domani sveglia presto". "Sì, mi piace il mare del primo mattino".