giovedì 21 ottobre 2021

Tifone

L'ultimo libro che ho letto è "Tifone" di Joseph Conrad.

Classico della letteratura di mare, il racconto salpa tra marosi d'Oriente a bordo del Nan-Shan, piroscafo battente bandiera cingalese. 

In stiva un carico di duecento coolies destinato a Fu-chou, porto del Celeste Impero non lontano dall'isola di Formosa, attuale Taiwan. "Tifone" per l'appunto deriva dal cinese "t'ai-fung" ovvero (probabilmente) "vento di Formosa". 

Nei suoi mari, dove oggi soffia un ipotetico terzo conflitto mondiale, ma è un'altra storia, poco più di un secolo fa il capitano MacWhirr incoccia nella furia d'una tempesta che assale l'uomo «come fosse un nemico personale».

La natura titanica, l'ignoto negli occhi, il codice marinaresco (per cui sempre apro il vocabolario in cerca delle formaggette dell'albero, del paramezzale, del baglio, delle alette di rollio, ...) ma soprattutto il capitano.

Tanto esperto quanto folle, MacWhirr al cospetto del tifone pare come noi oggi di fronte alla crisi climatica. 

«I presagi per lui non esistevano affatto, ed era incapace di cogliere l'avvertimento di un indizio finché il fatto compiuto non gli avesse aperto proprio gli occhi». «Come si può dire  che cos'è una burrasca finché non ci si è ficcati dentro? [...] Qui dice che il centro di tutta la baracca è a otto quarte dal vento; ma non c'è una bava di vento, anche se il barometro continua a scendere. E il centro dov'è allora?».

Siamo ancora qui? Forse, non lo so, ma nel dubbio torno sull'albero maestro di questo mio palazzo brianzolo a scrutare l'orizzonte. Prima o poi il tifone arriva.

lunedì 27 settembre 2021

Il Grande Gioco

L'ultimo libro che ho letto è "Il Grande Gioco" di Peter Hopkirk.

Si legge almeno in due modi: come un saggio di storia o come un romanzo di avventure, ed è entrambe le cose. 

Al centro la contesa tra Russia e Inghilterra per il dominio del mondo ovvero il controllo di Costantinopoli (mira russa) e Calcutta (in mano inglese con la Compagnia delle Indie).

Due imperi e una strategia: estendere la propria influenza ovunque e soprattutto in una regione che sulla mappa dei contendenti - nel primo Ottocento, quando "ha inizio" questa storia - è un immenso buco nero: l'Asia centrale. 

Qui si gioca al Grande Gioco e sono viaggi di giovani spie dei servizi segreti. 

Soldati esploratori cartografi avventurieri, camuffati da medico, da pellegrino, da mercante di cavalli, ... attraverso fiumi e deserti e orridi e passi montuosi innevati ove ad attenderli è la morte per mano di predoni e guerrieri, armati di sciabole o archibugi, al soldo di temibili tribù e dispotici canati.

Non fatico a immaginare che per le sue città invisibili Italo Calvino abbia (anche) letto il diario di alcuni di loro. Ne riporto un brano: 

«Quando il capitano Abbott giunse a Chiva presto fu chiaro che il khan non avesse il benché minimo sentore delle dimensioni della Gran Bretagna, della Russia e del suo piccolo regno. "Quanti cannoni ha la Russia?" domandò. L'inglese rispose che non lo sapeva con sicurezza, ma che erano un numero impressionante. "Io ne ho venti" gli disse con orgoglio il khan. "Quanti ne ha la regina d'Inghilterra?". Abbott spiegò che ne aveva talmente tanti che non se ne ne teneva un conto preciso. "I mari sono coperti dalle navi inglesi, e ognuna porta da venti a centoventi cannoni grandissimi", proseguì. "Le sue fortezze sono piene di cannoni, e in ogni deposito militare ve ne sono migliaia».

Ma il Grande Gioco è anche un manuale di storia e da quando il nostro sguardo ha di nuovo incontrato l'Afghanistan, molti analisti hanno suggerito la lettura di questo libro.

Cambiano il mondo e i suoi protagonisti ma la terra contesa è ancora lì. Kandahar, Kabul, Peshawar, passo Khyber, Jalalabad, ...

martedì 14 settembre 2021

La storia di Genji

 L'ultimo libro che ho letto è "La storia di Genji" di Murasaki Shikibu.

Ho impiegato quasi due anni, intervallandone la lettura con altre delle più disparate, senza però mai perderne il filo, e mi pare una qualità della scrittura e non del lettore.

Ha l'aria d'un romanzo ottocentesco ma è un classico dei primi anni Mille, scritto da una donna vissuta sotto il regno di Ichijō (in figura) alla corte dell'imperatrice Shōshi, in Giappone. 

Un mondo di cui sapevo niente e di cui ora qualcosa so.

II romanzo - una prosa costellata di poesie che rischiara quattro generazioni - narra la storia di Hikaru Genji detto lo Splendente, aristocratico in ascesa, poi in declino e ancora al culmine «durante il regno di un certo sovrano». 

Non c'è guerra (peccato) ma un'infinità di amori (sofisticati, allusivi, metaforici, tragici) e su di essi (con estremo realismo, profondità psicologica ed emotiva) s'inerpica la trama.

Un immenso affresco della vita delle donne. 

Regnanti, nutrici, monache, madri, figlie, consorti che scivolano sulle ginocchia dietro a paraventi e porte scorrevoli come solo in un film di Akira Kurosawa. Quasi mai si vedono, eppure pare di esserci accanto. 

Donne che basta il nome: la dama di Akashi, la signora degli Aoi, la spoglia della Cicala, la Principessa dal Naso Rosso, la dama del Padiglione del Glicine, ...

Donne la cui sorte dipende dai signori di corte e a loro è destinato ogni gesto, con l'intento di attrarne la benevolenza o di respingerne l'autorità. 

E poiché i gesti rivelano i sentimenti, qui tutto è simbolo: il tocco della mano sul Biwa, la calligrafia, il tipo di carta vergata, il taglio delle maniche, la tinta delle vesti mai dissimile alle tonalità del cielo, della terra e di tutto ciò che le circonda, specchio dell'animo.

Donne non certo libere ai nostri occhi e (credo, talvolta) agli occhi dell'autrice e (presumo) del pubblico di donne che costituì la prima "fortuna" di questo tomone d'antan; ma nonostante ciò donne di intelletto, di estrema profondità, ... e la storia s'avvera in una realtà così vicina e lontana alla nostra in un medesimo istante che ogni pagina è una scoperta.


Fiabe

L'ultimo libro che ho letto è "Fiabe" dei fratelli Grimm o meglio la traduzione integrale dei primi due volumi: duecentodieci fiabe, ma anche favole, racconti fantastici e leggende.

La lettura filata di tale antologia risulta come una specie di cura Ludovico del Popolare (tedesco, europeo, universale, con motivi che ricorrono nello spazio o nel tempo); e per non finire dritto dritto in terapia, ne scrivo.

C'è sempre un bosco nelle fiabe dei fratelli Grimm, e nel fitto del bosco c'è sempre una casa sulla cui soglia non manca mai qualcosa o qualcuno che appare per quel che non è: una vecchina che però è una strega, un uccello che però è una principessa, un uomo che però è il diavolo. 

(La nostra civiltà è ancora al limine di questo bosco, e vale la pena prenderne atto)

Il diavolo è creatura di parola, non di rado si fa gabbare, ha una nonnina che gli spiccia casa e chi lo incontra ne trae spesso vantaggio. 

Ci sono moltissimi sarti (diavoli veri), giganti, pollicini (circa una decina) e una miriade di omini ovvero autorità morali che danno del bene a chi lo fa e del male a chi è avaro, ingordo o cattivo. 

Il mondo poi è pieno di figli partiti per il mondo, e quante figlie di re da prendere in sposa! 

Se ci sono tre fratelli, uno è più scemo degli altri ma avrà più fortuna di tutti; se ce ne sono due, il buono sarà ricco e il cattivo morirà. 

Si muore spesso e di morte violenta. 

Ed è pieno di animali: alcuni hanno il dono della parola: c'è chi parla solo coi propri simili e chi anche con l'uomo: a volte occorre un potere speciale mentre in altre circostanze accade come se nulla fosse. 

Ci sono persino animali d'oro, presi in premio da uomini che se lo sono meritato.

Poi incantesimi e sortilegi e droghe sciolte nel bicchiere. 

Una bisaccia può contenere una tavola apparecchiata d'ogni bendidio, uno zainetto nasconde mille soldati, un cappello ti porta ovunque tu voglia andare... e questo e altro c'era una volta ma per un po' non ne voglio più sapere.


mercoledì 1 settembre 2021

The grammar of ornament

L'ultimo libro che ho letto è "The grammar of ornament" di Owen Jones.

Si tratta di una magnifica collezione visiva di metà Ottocento delle forme e dei colori dell'arte decorativa nella storia dell'uomo e delle sue civiltà.

Qui si presta attenzione a ciò cui in genere non facciamo molto caso: la cornice anziché il quadro, l'intaglio sul corrimano anziché la scala, l'ornamento anziché l'architettura. 

Eppure l'arte decorativa trattiene e sprigiona senso non meno del contenuto che adorna (pur mantenendo un grado ancillare); e oggi più che mai siamo immersi in una sconfinata cultura dell'ornamento.

Essa, secondo l'analisi di Owen Jones, poggia - al suo massimo grado, dagli albori dei tempi (dal moresco al pompeiano, dal persiano al cinese, dal celtico al bizantino e così via) - su trentasei principi generali. 

Ne risulta una grammatica che mi pare muova - in modo costante nei secoli - dall'osservazione e dalla rappresentazione della natura (in particolare foglie, fiori e geometrie che ne derivano).

Riporto tre enunciati (liberamente tradotti da me) che chiarificano il rapporto che intercorre tra natura e decoro:

Proposizione 4 - La vera bellezza risulta da quel riposo che la mente prova quando l'occhio, l'intelletto e i sentimenti sono appagati dall'assenza di qualsiasi desiderio o necessità.

Proposizione 5 - [...] Ciò che è bello è vero, ciò che è vero dev'essere bello.

Proposizione 13 - Fiori e altri oggetti naturali non dovrebbero essere usati come ornamenti, bensì le rappresentazioni [...] fondate su di essi sufficientemente suggestive da trasmettere alla mente l'immagine voluta [...] .

Un libro da leggere, ma soprattutto da osservare ed io ho perso la testa per come gli egizi disegnano e colorano il Papiro, combinando le fasi del germoglio, della crescita e della schiusa (come in foto).