martedì 29 maggio 2012

Sentire, ascoltare /42

Tre giorni fa è stato trasmesso in eurovisione il festival internazionale della musica. Baku, capitale dell'Azerbaigian, ha ospitato il song contest. 
Molti italiani hanno pensato bene di digitare su Google la parola Azerbaigian per capire che paese fosse, in quale porzione del globo si trovasse, con quali nazioni confinasse. 

Google, tra i primi risultati, propone alcune cartine fisiche e politiche del paese caucasico, la più chiara delle quali ho preso in prestito, qualche tempo fa, per un mio post
In poche ore (dopo il festival di Baku) l'Orecchio Muto, blog che intende occuparsi di letteratura, comunicazione e città e che ha un bacino di utenti decisamente modesto, ha registrato un numero di visite esagerato proprio perché quando scrissi della Repubblica azera ritenni utile allegare la cartina del paese in questione. 

L'episodio mi ha fatto pensare a un recente articolo di Massimo Mantellini pubblicato da il Post. In Google mi rende stupido il blogger di Forlì sostiene che il motore di ricerca sia completamente intossicato dal tempo reale e che dovrebbe proporre una gerarchia di risultati inerente al tempo consolidato


Internet e i motori di ricerca sono strumenti particolari che hanno poco a che fare con il sapere enciclopedico. 
L'enciclopedia è un'opera conclusa, dotata di un indice definito, una struttura lineare e un sapere consolidato. La rete e i suoi indici -Google in primis- sono, invece, opere in continua costruzione: i saperi, i valori, le informazioni, i dati sono editati senza sosta e la loro gerarchia è messa in discussione in ogni istante. 
La rete e le bussole che permettono di orientarsi al suo interno, potremmo dire, oscillano, cambiano, si contraddicono perché non sono un'enciclopedia ma, piuttosto, la realtà complessa che le collettività creano di continuo. 

In questo senso l'esempio della parola Azerbaigian permette di cambiare prospettiva. Google non suggerisce -stupidamente- agli internauti di visitare un blog di letteratura, comunicazione e città per avere informazioni cartografiche. Piuttosto Google insinua il dubbio che la nostra sfera pubblica online non abbia ancora sviluppato un dibattito sostanzioso attorno alla cartografia e che non ci sia un sapere collettivo condiviso sulla cartografia. 

A ben vedere Google indicizza in tempo reale -per ogni tema, parola o concetto- il livello del dibattito culturale di una comunità. La cosa è interessante perché permette, guardandosi alle spalle, di capire quale tempo stiamo consolidando in rete.

venerdì 25 maggio 2012

Aforismi, neologismi e bestialità /23

Scarafagiolo. 
Neologismo composto dalle parole Scarafaggio e Fagiolo. 
Il termine è sinonimo di osteria, béttola, trattoriaccia



Ostaria del Porto, Genova. 
Fifì, Saro e Luchino detto Orecchio Muto bevono vino rosso a un tavolo a fiori. 


“L'ultima volta che mi sono imbarcato era nel novantacinque”. 
“Saro per piacere, hai raccontato l'avventura dell'Elisabeth non so quante volte”. 
“Già, è come se io e Fifì avessimo partecipato alla spedizione di persona”.
“la mareggiata, la falla, le lance affondate, il tuo salvataggio”.
“Fifì non dimenticare l'ammutinamento”.
“Al diavolo, prendete pure in giro, non sareste sopravvissuti voi, checche che siete! Marchesa altri tre. Ci sono storie che non ti stanchi di raccontare, storie che ti cambiano la vita. Se non fosse successo quel che è successo, a Milano non sarei mai venuto e”
“e avresti continuato a solcare gli oceani sulle petroliere”. 
“Sì, proprio così e non avrei conosciuto due bauscia come voi”.
“Poteva andarti peggio”.

“C'è sempre stato quest'odore di fagioli qui dentro?” 
“Sempre, fagioli e scarafaggi, ma i prezzi sono buoni e si sentono cose interessanti”.
“Ne hai uno lì, che cammina sul muro”. 

Saro prende lo scarafaggio e lo schiaccia tra le dita. 

“Senti Saro, parlaci di quest'affare dei container, il tipo è uno a posto?”
“A momenti arriva, giudicherete voi”.

domenica 20 maggio 2012

Aforismi, neologismi e bestialità /18-22

In rete ogni cosa è ordinata. Le grafiche sono chiare, i colori sono opportuni, le parole sono calibrate. Che sia la realtà un prodotto da confezionare bene? 

La rete è un'invenzione e come tale sta nel mondo. Può un'invenzione del mondo contenere il mondo intero? 

Il virtuale è reale. Quando mi sbuccio un ginocchio faccio una foto e la condivido in rete. Poi sento male. 

Ho letto sul sito della mia città che sta piovendo. Non vedo pioggia in cielo. Esco con l'ombrello. 

Per quanto la rete sia realtà, quest'ultima -sotto i miei piedi, in città- pare una copia sbiadita del suo rendering. 

La pubblicità è il nuovo eroe dei due mondi.

giovedì 17 maggio 2012

Sentire, ascoltare /41

Alcuni fenomeni dei nostri tempi mancano di parole per essere definiti e compresi; accadono prima ancora che qualcuno ci abbia ragionato sopra. Senza nomi le cose non sono chiare e non sono comunicabili nel migliore dei modi. 
Molti fenomeni sono ben definiti e comprensibili perché all'ascolto della parola che li indica si ha un diretto riferimento a situazioni, concetti e idee che gli interlocutori hanno bene in mente. 
Esiste, poi, una categoria di parole -e di relativi fenomeni- che sfugge a tali descrizioni. Professione è una parola di queste. 

Il Devoto-Oli dà, tra le altre, la seguente definizione: 
Attività esercitata in modo continuativo a scopo di guadagno. 
Attività intellettuale per l'esercizio della quale è richiesta la laurea o una particolare abilitazione. 

È parola adatta a definire il mestiere dei più? Forse. Per molti giovani credo di no. 
C'è uno scarto tra il suo significato e la realtà per la quale si applica. 

I social network, i motori di ricerca di lavoro, le aziende, i modelli europei per i curricula, i questionari, la carta d'identità e molto altro richiedono di definire la propria realtà “professionale” con una parola. Non è corretto e rischia di creare inconsce psicosi collettive. Un modello -o una convenzione- sociale non permette ad alcuni cittadini di esprimere il proprio reale status e ciò, nonostante si tratti di parole, esclude dal circuito della collettività. 


Un esempio. 

che lavoro fai? 
al momento nulla 
ma di cosa ti occupi? 
nell'ultimo progetto ero redattore 
ah, sei un redattore 
ma ho fatto anche altro 
tipo? 
ho seguito dei progetti pubblicitari 
ah 
prima ancora mi sono occupato di promozione di uno spettacolo teatrale 
mm 
insomma, ho fatto tante cose 
però sei giovane 
sì 
non hai ancora trovato la tua strada 
in realtà sono cose che mi interessano quelle che ho fatto, tutte. 
ma devi scegliere, no? 
sì, forse 

Il primo interlocutore -poniamo un signore sui cinquanta- lascerà la conversazione pensando che l'altro è uno che non sa fare nulla bene, che non ha ancora trovato un posto nella società, che vive sulle spalle dei genitori e fa un lavoro ogni tanto. 
Il secondo interlocutore -poniamo un trentenne- lascerà la conversazione con l'impressione che la propria realtà non sia compresa dalla comunità a cui appartiene, che quello che ha fatto non sia sufficiente a definirlo, che se non trova una continuità professionale è spacciato. 


Occorre trovare nuove parole e ridefinire quelle esistenti perché senza nomi le cose non sono chiare e non sono comunicabili nel migliore dei modi. E se non ci parliamo rischiamo di rimanere soli. 




lunedì 14 maggio 2012

Sentire, ascoltare /40


La città. I luoghi comuni, in alcun modo. 

La città è costellata di impressioni condivise, immaginari collettivi, attrazioni della mente, piccole verità alle quali ancorare un agire incerto, risibili convinzioni che rendono poco ridicole circostanze urbane. 
Situazioni che si verificano, profezie che si avverano, fatti che accadono, ripetitive monodie; luoghi della mente, spazi comportamentali, cartine fisiognomiche. 


senti il tamburellare dei tacchi sul selciato? 
sì 
hai voglia di guardare chi li indossa? 
non posso farne a meno 

sai, alle tue spalle c'è quel tale che abbiamo conosciuto tre giorni fa 
dai, l'ho visto anche ieri 
e lo vedrai almeno un paio di volte ancora nei prossimi due, tre giorni 
poi non lo incontreremo più per mesi 

curioso quel cane 
e il padrone, no? 
non mi dirai che si si assomigliano? 
non è forse vero? 

mi piace quest'ora della giornata 
già, si ha l'impressione di essere in un luogo nuovo, non quello di tutti i giorni 
nonostante sia lo stesso incrocio, con la stessa panchina, il praticello dello spartitraffico...è la luce che fa quest'effetto 
anch'io sono convinto sia così 

non si sa che fare oggi 
è domenica 
hai ragione 
rassegnati 

hai sentito la discussione di quei due mentre bevevano il caffè? 
quei due appena usciti col cappello uguale...sì 
ho già sentito la loro conversazione, pari pari, non so dove; sapevo già cos'avrebbero detto 
che cosa strana, è capitato anche a me, più volte 

pensi mai che gli oggetti e la vegetazione possano muoversi quando nessuno li guarda? 
mi è successo 
io spero anche che un giorno decidano di muoversi solo per me, come se fossi il prescelto 
già, ma ti verrebbe il dubbio di essere pazzo 


Avrei voglia di continuare a elencare luoghi, più o meno noti, che frequentiamo ognuno nella speranza di avere una fantasia più fervida, più unica degli altri. Ma la cosa mi rincresce, mi svela un'appartenenza al mondo umano che vorrei non fosse vera.

venerdì 11 maggio 2012

Sentire, ascoltare /39

Non se ne parla più di pubblico e privato -denaro a parte. Pare sia risolto il problema di cosa sia intimo e personale e di cosa sia comune, di quali siano i modelli per l'uno e per l'altro, di quale natura siano le contraddizioni e le criticità di una sfera pubblica privatizzata e di una sfera privata, sostanzialmente, pubblicizzata. 
Le parole del dibattito pubblico corrono su altri paragrafi, capitoli, questioni. Restano pagine vuote, di una storia collettiva. 

Un luogo, però, mantiene viva e palesemente chiara la questione: il bagno pubblico. 
Asciugamani elettrici, sciacquoni, zip, acqua corrente, pulsanti a pressione, chiavistelli e scrosci segnano il perimetro di uno spazio in cui aleggiano contraddizioni, spaesamento, necessaria sveltezza dei gesti. 
Privato e pubblico fluiscono assieme a definire una materia liquida, fluente, fluttuante, né pubblica né privata, né formale né informale, mai definitiva, mai conclusa. E cosa si può fare se non sorridere. 

Nei bagni pubblici si sorride. Non importa chi tu sia. Non importa chi sia la persona che attende dietro il segnalino rosso dell'occupato, gentleman e lady, numeri di telefono per gesti osceni, slogan e pubblicità, punk e locali d'avanguardia, tag e bestemmie. Si sorride l'un l'altro.

Una convenzione sociale nata dallo straniamento, dall'imbarazzo, dall'incomprensione -forse- di cosa sia quel luogo pubblico per abluzioni private.

martedì 8 maggio 2012

Aforismi, neologismi e bestialità /17

Sarebbe pratica democratica che le prossime elezioni parlamentari avvenissero in codesto modo -per amore delle parole, del loro significato, delle maschere e della rappresentazione. 


Fase 1 - A porte chiuse ovvero senza che nessuno possa conoscere volti e nomi di chicchessia. 

a) Ciascun partito nomina il proprio leader candidato. Tutti i membri dei partiti nominano il proprio leader candidato in un grande palazzo. Nessuno può lasciare il palazzo. 

b) Un consiglio di magistrati valuta l'idoneità dei candidati a rivestire la carica di Primo ministro. I criteri di valutazione sono di buon senso e approvati dal Parlamento (non è questo il punto, sono sicuro possa trovarsi un accordo ragionevole per individuare i criteri di valutazione). 

c) Il consiglio di magistrati assegna a ciascun candidato Premier un colore e un portavoce. Quest'ultimo ha il compito di leggere i messaggi elettorali che candidato Premier e partiti intendono comunicare alla nazione. 


Fase 2 - A porte aperte ovvero senza che nessuno possa conoscere volti e nomi di chicchessia. 

a) I candidati Premier escono dal Palazzo, ognuno con abito e maschera del colore assegnato dal consiglio di magistrati. Non sono riconoscibili i loro volti, non possono parlare. I portavoce hanno abito e maschera dello stesso colore dei rispettivi politici che rappresentano. Tonalità, timbro e volume delle voci di tutti i portavoce sono simili, se non identici. 

b) La folla dei partiti che ha nominato i candidati Premier abbandona il palazzo. Tutti i politici hanno maschera e abito bianchi. Sono irriconoscibili e non possono rilasciare alcuna dichiarazione. 

c) Ciascun candidato Premier ha modo di esprimere i propri pensiero, idee, programma elettorale e quant'altro tramite il portavoce assegnatogli. Sostanzialmente i candidati Premier di tutti i partiti e i rispettivi portavoce sono identici. Si distinguono tra loro per il colore di abito e maschera e per le parole con le quali intendono convincere la nazione a votarli. 

d) Qualsiasi infrazione e tentativo di distinzione sono sanzionati dai magistrati del consiglio con la squalifica dalla corsa elettorale. 


Fase 3 - A porte spalancate ovvero quando i candidati Premier tolgono la maschera e la nazione vede il volto del nuovo Primo Ministro. 

a) I cittadini, in cabina elettorale, scrivono il colore corrispondente al candidato che meglio ritengono possa rappresentarli. 

b) Il Consiglio di magistrati rende noti i risultati elettorali. 

c) I candidati Premier e il Primo Ministro entrante si tolgono le maschere.


Fase 4 - A volto scoperto ovvero riscoprendo il significato di immagini, gesti e suoni. 

a) Gli elettori, dopo aver conosciuto i volti dei candidati Premier, votano ancora. 

b) Dalle nuove elezioni si ha il Primo Ministro.


Non sarebbe pratica democratica che le prossime elezioni parlamentari avvenissero nel modo detto ma sarebbe un piacevole atto dovuto ai tempi moderni.

sabato 5 maggio 2012

Sentire, ascoltare /38

Uomo, collettività, storia.
Linea spezzata, linea curva, linea retta.

Si incontrano in alcuni punti che determinano un prima e un dopo.
Non sappiamo dove né quando. Può anche essere che nessuno se ne accorga.
Ma quel che è fatto è fatto.

giovedì 3 maggio 2012

Sentire, ascoltare /37

“Te lo leggo negli occhi”.
“Cosa?”
“Che quel libro, di cui spesso parlavano i nostri nonni, non esiste più e tu sai il motivo”.
“Ne ho una copia fedele, scritta a mano”.
“Il titolo forse, il numero di pagine, l'autore sono fedeli ma la sostanza è cambiata, la tesi non era quella”. 
“Fu mio padre a copiare il libro prima che l'originale fosse bruciato dagli occupanti”.
“Non posso fidarmi di tuo padre per il solo fatto che stiamo assieme. Del resto nutro anche qualche dubbio sul tuo conto”.
“Credi nasconda un segreto?”
“Forse o forse no”.
“Stai farneticando...”
“È più probabile tu sia in buona fede ed è proprio questa la tua colpa. Saresti dovuta andare a fondo della questione subito, invece, ora è tardi e chi può saperlo se quel libro è una copia fedele oppure no”.
“Forse, è pur sempre un libro e neanche dei più interessanti ad essere sinceri”.
“Ora non lo è più, ma quando è bruciato lo era”.
“Mi hai stufato”.
“Ti stanchi di cose importanti”.
“Sarà”. 
“...”
“...”
“Cosa fai?”.
“Metto su un disco”.
“Te lo leggo negli occhi, lo dicevi tu”.
“Mi piace Endrigo”.
“Non sapevo fosse sua, ho una versione di Battiato”. 
“Ascoltiamo”.