domenica 22 aprile 2012

Sentire, ascoltare /36

Serrati in maleodoranti fila, tenuti assieme da bende e corazze, stretti al desiderio di posar lancia ed elmo, gli uomini del Ducato di Milano marciavano, anima in spalle, tra i campi della pianura Padana. E già in lontananza appariva -prima ancora dello spettro di una sindrome da stress post traumatico-, oasi di sfarzo, giaciglio e notte d'amore, il castello. 

Venne il sole, non so contare quante volte, e in piazza delle Armi un refolo d'aria muoveva il fumo di una sigaretta appena accesa da un tipo esile, dal volto pulito, con le gambe accavallate su una panca di pietra. 

“Disturbo?” 
“No, prego”. 
“A Milano si disturba molto”. 
“Fosse questo il disturbo”. 
“Sicuro non disturbo?” 
“No, si immagini”. 
“Sono stato dieci anni in manicomio”. 
“Mi dispiace”. 
“Manicomio vecchio stampo, intendo”. 
“...”
“Sono libero adesso”. 
“E come si sente?” 
“Meglio, molto meglio”. 
"..."
“Fuma?” 
“Sì”. 
“Anch'io, vede?” 
“Sì”. 
“Sicuro non la disturbo?”. 
“No, davvero”. 
“...” 
“...” 
“Il fumo è la malattia della solitudine”.

giovedì 19 aprile 2012

Sentire, ascoltare /35

Un caro amico, qualche tempo fa, mi ha chiesto un contributo per The ultra journal, pubblicato in occasione del Salone del Mobile di Milano. La sezione da lui curata è dedicata a Félix Fénéon, anarchico, e molto altro, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento. 

Lo scrittore francese scriveva romanzi in tre righe: una per l'ambiente, una per la cronaca -più o meno nera-, una per l'epilogo a sorpresa.
Mantenuta la struttura originale è cambiato il tema del romanzo: la sedia -in omaggio al Salone del mobile, appunto. 

È un esercizio interessante che aiuta a discernere il superfluo dall'essenziale. 
Il mio personale omaggio lo scrivo solo ora. 


L'onorevole Jules è morto ieri. Vantava il record di parlamentare in carica da più legislature. Sulla scrivania del suicida un consunto quaderno riporta una frase reiterata, in grafia infantile: odio il gioco delle sedie

Seppur benestante mastro Peppino, impagliatore di professione, viveva di poche cose. Alcuni vociferavano fosse avaro, altri morigerato. Morì battendo la testa per il cedimento di una gamba della sua vecchia seggiola.

domenica 15 aprile 2012

La guida Sbagliata /6

Ilustrazione di Silvia Marinelli

Milano. Negroni Sbagliato.

L'espressione radical-chic esprime un senso ancor prima di connotare un concetto. È uno stilema composto -un po' come i nomi di una certa antiquata nobiltà- alto, di nicchia, intellettuale; e però, la locuzione in oggetto è sine nobilitate, snob per definizione. 

Snob è l'espressione in sé, snob è il significato che esprime, snob è quella categoria di persone che viene definita radical-chic. Snob, però, non è parola sufficiente, da sola, a definire la locuzione composta. 

Radical-chic è un'espressione proprio radical-chic, tremendamente snob, insopportabile. Poco incline a (farsi) definire in modo chiaro. Si impone, come parola, al di sopra delle altre parole. Disturba, come segno, l'equilibrio delle frasi. Definisce sé e altro. Scompiglia, fa baruffa, zuffa -intellettuale-, innervosisce, sfianca, picchia, grida, strepita. Una grande indignazione. Per cosa poi, per chi.

Il Sabatini Coletti così sentenzia: 

radical-chic 
s. ingl. inv.; in it. s.m. e f. inv., pr. adatt. 
    Borghese di tendenze politiche radicali con atteggiamento fortemente snobistico 
    Anche in funzione di agg.: salotto r. 

Il quartiere Isola, le dicerie metropolitane suggeriscono, è una zona di Milano radical-chic. Ma io non so cosa si voglia dire perché a parlare con tutta questa gente -abbigliata in modo dimesso, ma con stile- di precarietà, di inadeguatezza della classe politica, tra un sorso e un altro di un Negroni Sbagliato -pagato, tra una chiacchiera e un'altra, con un bancomat di un credito locale-, mi chiedo cosa intenda la gente con questa espressione. Radical-chic

Frida Café 
via Pollaiuolo 3 
Zona Isola-Garibaldi 
Prezzo Sbagliato 6,5 euro 

martedì 10 aprile 2012

lunedì 9 aprile 2012

Sentire, ascoltare /34

Immaginare un incontro all'alba di un uomo e una donna. Immaginare che quell'uomo e quella donna si incontrino a età differenti per tre volte all'alba. Lui di mezz'età, lei di mezz'età. Lui adulto, lei ragazzina. Lei adulta, lui bambino. 

Il giudizio è prematuro; non ammette -non solo-, nella sua idealità, una sincronia di presenze. È necessario tener conto di ogni possibile incontro, di ogni immaginifica presenza di sé a tutte le età, a tutti gli attimi di un percorso di vita. 

Il giudizio tende a elevarsi al di sopra di ogni realtà per definirne una. L'atto mentale di negare o di affermare una cosa è dunque un approssimare il proprio pensiero a un oggetto, a una situazione fattuale, a una realtà che non tiene conto delle altre. È un trucco per definire l'esistente e sentire il proprio essere, in qualche modo, definito. 

Giusto il diritto può arrogarsi il potere di giudicare senza temere di aver anticipato i tempi. Per ogni altra evenienza esiste l'immaginazione, che non ammette giudizio e che, in qualche misura, pur essendo nel tempo, lo nega e fa come se non ci fosse.

domenica 1 aprile 2012

Sentire, ascoltare /33

È una questione di immagine, di sorrisi a trentadue denti, di mascelle e gengive. La parola, o piuttosto le interpretazioni che da essa scaturiscono, ha un aspetto visivo, carnale, proprio della masticazione. La dentatura, lo smalto, le gengive, la lingua, le labbra e la parola. 

In Giù la testa la borghesia trita e sbrana il conflitto sociale, mastica parole e fagioli, sbocconcella sentenze e ciliege. Non c'è scarto tra immagine e concetto. Il discorso pubblico ha cucito addosso un vestito appropriato, sincero, eloquente, che esprime sensibilità e status

Non è più così. Il dibattito, le idee, il senso delle cose sono filtrati dalla bacchetta magica di photoshop, se così vogliamo chiamarla. 


Sala di un salotto bene di Milano. Un ragazzo in camicia, con le Clarks ai piedi, e un altro con girocollo e jeans. 

“Sono stufo di precariato, di incertezza. Perché nessuno lotta come avveniva alcuni decenni fa?” 
“I telegiornali e la stampa dicono che un italiano su tre è a rischio povertà e che un giovane su tre non trova lavoro”. 
“Li vedi in giro tu i poveri?” 
“Francamente non così tanti come dicono”. 
“E i giovani senza lavoro?” 
“Non saprei dire”. 
“Non te ne accorgi, non sembrano precari, sai perché?” 
“Perché?” 
“Perché hanno dietro le famiglie che possono ancora permettersi di mantenerli”. 
“Sì, i giornali dicono anche questo”. 
“Sai, in realtà, perché non te ne accorgi?” 
“No”. 
“Perché hanno tutti i denti. Lascia stare i giovani, pensa ai quarantenni. Non sono pochi quelli che per farsi fare un ponte o farsi ricostruire un dente devono chiedere a un genitore”. 
“...” 
“Se non ci fossero le famiglie vedresti in giro un sacco di gente senza denti, questa è l'immagine della povertà, solo così te ne accorgeresti”. 
“...” 
“Sei mai andato dal dentista?”. 
“Sì”. 
“Hai pagato tu?” 
“No, i miei”. 
“Avresti i denti oggi?” 
“Qualcuno no”. 
“E cosa faresti?” 
“Li vorrei ma non avrei i soldi per farmeli fare”. 
“E allora?” 
“Mi vergognerei”. 
“Già, ti vergogneresti ma poi te ne faresti una ragione perché vedresti tanti altri giovani senza denti”. 
“E allora?”
“E allora vi fareste una ragione collettiva, è tutt'altra cosa”. 
“Ma non possiamo farcela comunque? Siamo consapevoli che non potremmo averli senza un aiuto”. 
“No, così è più difficile, non c'è coerenza tra fatti e parole, non c'è coscienza”. 
“C'ha fregato l'immagine”. 
“La falsa immagine”.