Il viaggio in Azerbaigian è concluso. Le fiamme del petrolio, il vento del Caspio, le curve delle strade verso Cabala definiscono il movimento di un paese che tende verso l'alto ma che si perde in sussulti, mulinelli e gorghi, tortuosità e grovigli. Come dicevo nel post precedente la regione caucasica custodisce una complessità unica, dalla quale scaturiscono slanci e arresti, spazi e restrizioni.
Qui vorrei solo parlare di un episodio, del sentire e dell'ascoltare.
In viaggio ho portato con me Palomar, un libricino di Italo Calvino in cui il protagonista (il signor Palomar appunto) osserva il mondo e ne trae esperienze e interrogazioni. Palomar si domanda del moto delle onde, delle stelle, della carne, del gorilla albino e di mille altre cose. Io lo seguo nel suo interrogarsi e assieme aggiungo le mie interrogazioni al circostante di cui -in questa specifica occasione- ho poco esperienza.
Nella biblioteca dell'Istituto dei Musulmani del Caucaso di Baku, eretto accanto alla sontuosa moschea di Taza Pir, mi avvicino a un tavolino che fa da emeroteca. Sul tavolo sono ben allineate (forse una svista delle autorità governative che ci hanno scrupolosamente seguito nel nostro iter) tre diverse testate giornalistiche del 20 ottobre. Tre foto-notizie identiche, tre didascalie identiche, tre titoli identici, tre occhielli identici, tre testi identici.
Ne sono rimasto affascinato.
Non perché capissi le parole scritte in azero ma perché la monodia dei segni ha perforato la mia corazza fatta di sensi, di concetti, di giudizi. Sono rimasto in ascolto del segno, non come simbolo, non come veicolo tra significato e significante. Solo in un secondo momento ho associato al segno una serie di significati. Nel preciso istante dell'osservazione dei giornali il segno è rimasto una forza indecifrabile.
Palomar si trova in gita alle rovine di Tula, antica capitale dei Toltechi: «Nell'archeologia messicana ogni statua, ogni oggetto, ogni bassorilievo significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa». Palomar ha una guida che decifra ogni segno e che spiega cosa significano: la vita, la morte, un dio, una costellazione. Accanto a loro passa una scolaresca. Il maestro degli studenti racconta a che civiltà appartengono, a che secolo, in che pietra sono scolpiti i vari monumenti toltechi e poi conclude «Non si sa cosa vogliono dire». La guida di Palomar dopo aver ascoltato diverse spiegazioni del maestro interviene indispettito e dice agli studenti «Sì che si sa».
Appena la scolaresca scompare alla vista di Palomar e della sua guida la voce ostinata del maestro riprende: «No, es verdad, non è vero quello che vi ha detto quel senõr. Non si sa cosa significano».
Non interpretare è impossibile, come è impossibile trattenersi dal pensare, dice Italo Calvino. E nel caso di questa emeroteca nel centro di Baku non è difficile trarre conclusioni. Ma non è questo il punto. Non è quello che Palomar mi ha insegnato e che destino ha voluto imparassi in Azerbaigian.
[Nel preciso istante dell'osservazione dei giornali il segno è rimasto una forza indecifrabile.]
RispondiEliminaMi permetto di dissentire scrivendo qualcosa di ovvio: nell'istante in cui hai visto il segno, esso è rimasto indecifrabile in sè per sè, perché non conosci il sistema di scrittura azero. Solo quando hai visto che gli stessi segni nello stesso ordine su tutti e 3 i giornali hai capito comunque qualcosa, e cioè che la stampa azera non è libera.
Ho scritto l'espressione "comunque qualcosa" come se il fatto che tu abbia avuto prova del grado di lbiertà di stampa in Azerbaijan fosse qualcosa di "laterale" un "sovrappiù" rispetto a quello che avresti potuto capire delle notizie se tu avessi letto i giornali dall'interno del "sistema" azero di scrittura.
E alla fine cosa è più importante? Uno studente milanese di lingua azera sarebbe stato eccitato di poter finalmente leggere quei giornali in presa diretta, a Baku! e "capirli"; tu, fine politologo, ti sei fatto un'idea, o comunque hai avuto una conferma, della situazione politica (se poi è veramente questo quello che hai pensato); gli azeri probabilmente guardano a quei 3 giornali come noi guardiamo a 3 rotoli di carta igienica e quindi... Cosa significa per me e per gli altri qualcosa che a sua volta significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa?
[...]
Vogliamo parlare poi del fatto che oggi se la scolaresca passasse accanto a Palomar non se ne fregherebbe dell'esistenza di un significato delle rovine di Tula e che anzi passerebbe tutto il tempo a scattare fotografie con la machcina digitale in pose con la bocca a culo di gallina? Questo cosa significa?
Quanto costa lo sbagliato a Baku?
Grazie per il commento Elio!
RispondiEliminaInizio dalla riflessione più semplice: a Baku lo Sbagliato non lo fanno; i locali non sono però sprovvisti di cocktail, vodka e vino. Costano anche parecchio! :-)
La tua considerazione, poi, è corretta. Probabilmente la ripetizione del segno qualcosa mi ha fatto capire, come negarlo! Il problema della libertà di stampa è stringente, palpabile e merita una riflessione seria e approfondita!
Ci tenevo, però, a mettere in relazione questa mia esperienza con le parole di Italo Calvino che mi hanno permesso di vedere le cose con altri occhi, e di sentirle con altre orecchie!
Un tema non esclude l'altro e in qualche modo la domanda "Cosa significa per me e per gli altri qualcosa che a sua volta significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa?" merita risposte su entrambi i piani!
Esattamente. La stessa cosa può essere osservata contemporaneamente da più punti di vista. Aggiungiamo altri osservatori, con i loro punti di vista, che osservano chi sta già osservando quell'unica cosa. Questa è l'immagine che mi viene in mente quando leggo la frase "Cosa significa per me e per gli altri qualcosa che a sua volta significa qualcosa che a sua volta significa qualcosa?"
RispondiEliminaUna qualità intrinseca dell'uomo è quella di dare un significato a tutto quello che fa o che gli succede, il tutto secondo schemi (più o meno) personali.
E mi piace pensare a questo
1) come essere umano - sapere che non ci muoviamo per puri istinti è sempre una consolazione, dal mio punto di vista -
2) e anche come "osservatore" perché informarmi, indagare sulle motivazioni, sui perché, sui significati di qualsiasi cosa fa parte della mia natura. Il mondo è lì fuori che ci aspetta e noi abbiamo il dovere di esplorarlo.