mercoledì 12 ottobre 2011

Sentire, ascoltare /4

Milano. Palazzi.


La città è un brusio pulviscolare nel quale piroettano alcuni suoni ricorrenti. Il clacson, il passaggio del tram sulle rotaie, le suonerie dei cellulari, i freni del motore, il segnale acustico dei semafori per i pedoni, lo scampanellio delle bici quando passano sul basolato lavico irregolare. Sono suoni di cui ogni cittadino meneghino e ogni city user dell’hinterland hanno esperienza. Sono suoni legati al concetto di mobilità.
Del resto il suono è la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione.
Se Milano è un nodo di una rete globale allora oscilla molto, si muove e fa rumore. Lo fa con i suoi specifici suoni di movimento ma anche con le immagini, i cartelloni pubblicitari, i video messaggi, i volantini, gli eventi (di cui parlerò in un altro post). Si muove, fa rumore e non si riesce più ad ascoltare.


Esiste, però, una dimensione di Milano che sfugge al movimento e che suggerisce una cartografia della città alternativa. Quella dei palazzi. Parlo di quei palazzi del primo Novecento che hanno una corte interna, solitamente con al suo centro un albero, su cui si affacciano decine di finestre. Lì c’è silenzio e pur arrivando una pallida eco dei rumori della città globale si riescono a sentire le conversazioni dei vicini. Nitide, semplici, lente. 
Alle finestre di quei palazzi non ci si estende lungo le coordinate del tempo ma si continua ad abitare quelle dello spazio, che tutti considerano ormai inutili come uno stradario del ’73.

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