martedì 23 giugno 2020

Le mille e una notte

L'ultimo libro che ho letto è «Le mille e una notte».

Una raccolta anonima di novelle in arabo, ma di lontane origini indo-persiane, che dal XVIII secolo, con la traduzione francese di Galland, segna il modo in cui l'Occidente immagina l'Oriente.

Una sorta di inception - il riferimento è al film di Nolan, con DiCaprio - che abita ancora la nostra volta cranica e dice: va' e rintraccia quel mondo antico! Dal sūq alla pittura Moghul, dal caravanserraglio al suono del sitar. Roba da turista, se vuoi.

«Le mille e una notte», però, è anche ben altra cosa: invenzione, canone universale, metafora fondante, storia e sogno, classico senza tempo.

Come il Don Chisciotte, come l'Odissea.

La storia - o meglio, la sua cornice - è nota, ma il libro va letto, e occhio a scegliere la traduzione migliore, perché basta una parola fuori posto a rompere l'incanto.

Un passaggio tratto dalla novella «Il facchino e le dame».

«"Facchino, alza la tua gerla e seguimi!".
"Va bene, forza" acconsentì quel bravo giovane. E riprendendo la gerla la seguì, continuando a mormorare: "Giorno propizio! giorno fecondo! giorno di allegrezza!...".
La donna lo fece inseguito fermare davanti alla bottega di un fruttivendolo. Comprò mele di color chiaro, cotogne di Turchia, pesche di Khullân, mele moscatelle, gelsomini, ninfee di Siria, cetrioli delicati, limoni di Marakîb, cedri reali, rose bianche, basilico, fiori di henné, camomilla fresca, violaciocche, mughetti, gigli, anemoni, viole, occhi di bue dai petali gialli, narcisi, fiori di melograno... Sistemò tutto nella gerla del facchino e quindi si recò dal macellaio».



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