venerdì 19 giugno 2020

IL CASTELLO

L'ultimo libro che ho letto è «Il castello» di Franz Kafka.

Un (altro) romanzo interrotto. Il mio preferito dei suoi. 

Non si dice mai, ma quel che rimane a lettura ultimata di un libro di Kafka è una tremenda incazzatura, un fastidio manifesto e una latente ansietà.

Ci si immedesima così tanto da volere entrare nel romanzo: per spaccare tutto e dirgliene quattro anche al protagonista (un certo «K.» che ricorre nella prosa del nostro caro Franz). 

Ciò naturalmente non è possibile, ma è vero il contrario: il romanzo irrompe nel mondo nostro, ci mette indosso l'abito di K. e a ciascuno indica il processo, il castello o la metamorfosi da affrontare. 

(Una lettura collettiva potrebbe innescare una rivolta sociale.)

La storia inizia con l'arrivo di un agrimensore - e di questa professione vorrei tanto parlare, ma forse è meglio in un altro post - alle pendici del Castello; e già da principio emerge la poetica di Kafka, capace di rendere possibili e reali avvenimenti insoliti e figure fuori dal comune.

«Era sera tarda quando K. arrivò. Il paese era sprofondato nella neve. Il colle non si vedeva, nebbia e tenebre lo circondavano, non il più debole chiarore rivelava il grande castello. K. sostò a lungo sul ponte di legno che dalla strada maestra conduceva al paese e guardò su nel vuoto apparente.

Poi andò a cercare un alloggio per la notte; alla locanda erano ancora svegli, l'oste non aveva stanze libere ma, assai stupito e sconcertato da quel cliente tardivo, offrì di farlo dormire nella sala su un pagliericcio. K. fu d'accordo».



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