lunedì 8 giugno 2020

Le menzogne della notte

L'ultimo libro che ho letto è «Le menzogne della notte» di Gesualdo Bufalino.
Anche qui, come nella mia precedente lettura - «Diceria dell'untore» -, la dedica è bellissima: «a noi due»: allude a un amore o è un atto di sfida lanciata al lettore?
[O ancora - trapela da una nota - è un richiamo a «Papà Goriot» di Honoré de Balzac, in cui l'ambizioso Eugène de Rastignac sfida la società apostrofando: «ed ora, a noi due!»]
Romanzo pseudo-storico, ambientato a metà dell'Ottocento in una desolata fortezza, «Le menzogne» narra l'ultima notte di quattro congiurati, rei di avere attentato alla persona del sovrano, in attesa di salire al patibolo.
Tanto basta per entrare nella letteratura: un lasciapassare per ogni fortezza narrata.
[Ne dico una per tutte, coeva a quest'altra, di simile malta e maniera: il castello d'If a largo di Marsiglia: prigione di Edmond Dantès e dell'abate Faria - le cento pagine più belle de «Il conte di Montecristo»].
«Le menzogne» è un romanzo che riluce, in filigrana, di un'intera filologia letteraria: la prosa bufalina fa d'ogni storia narrata il pretesto per - o la necessità di - raccontarne di nuove.
Brano a brano, in questo libro, c'è sempre una fenditura che si allarga tra le parole - a volte uno squarcio, a volte uno spioncino: basta buttarci l'occhio e star a vedere che accade.
«“Una volta”, disse frate Cirillo, “ho salvato dalle fiamme un libro, nel castello dei Torrearsa. Un libro di lussurie, ma pauroso, nel fondo, che si chiamava Decamerone.”
“E con ciò?” replicò il barone. “Se la morte è una pestilenza, vogliamo scordarcene, novellando?”.
“Dal novellare, no, ma dal confessarsi qualche bene può nascere,” rispose il brigante. “Dal confessarsi, dico, non ad un orecchio peloso di prete ma voi a voi stessi.”
“Quale ne sarebbe il guadagno?” chiese il soldato.
“Di capire se alla vita che avete vissuto questa fine da stoici faccia da epilogo degno; o se non stoni, invece, come una stecca improvvisa [...]" Nacque un grande silenzio. Infine il barone [...]: “Dacci dunque un argomento, tu che pari così saputo. Anche se non abbiamo da spendere né cento giorni né mille e una notte, ma un'unica miserabile e scarsa vigilia.”».



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