martedì 26 febbraio 2013

Sentire, ascoltare /90

Come se non avessimo parole per definire alcuni luoghi -dormiveglia, bagnasciuga, parapiglia- socchiudiamo gli occhi, allunghiamo le dita, tendiamo le orecchie -vista, tatto e udito- in un reale sfumato, dentro un sogno accennato: chiaroscuri di ombre notturne, grani di sabbia liquida, suoni senza corpi in oscillazione. 

In questi nostri sensi, che ci spiegano le cose del mondo, avvertiamo il limite della conoscenza; gli elementi esperiti, in alcuni spazi opachi dell'esistente, sono senza complete immagini, materia e note. 

Avanza così, tra ragione e stupore, dapprima una sensazione di incompiuto, poi il desiderio di catalogare ogni cosa: perché non vada persa nemmeno una sfumatura sensoriale, perché l'invenzione di un metro argini infinitesimi segmenti sfuggenti. 

Come per il gusto e l’olfatto -sapori e profumi e miscele- prevale la necessità -ma è un'illusione- di classificare senza fine: luppolo, sambuco, zafferano, coriandolo, macis, chiodi di garofano, anice stellato, borragine, legno di quassio e cardamomo, enula campana e imperatoria, zenzero, china, cannella, melograno…

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