Il desiderio di una vita borghese si nutre, tra Cimbali e Cosa le servo?, in sale e salette di bar milanesi: cappuccino, Corriere della Sera, bicchier d'acqua, brioche.
I clienti giocano a fare i signori, pose e vanità, gambe accavallate, sopraccigli scostanti, labbra gonfie e briciole sui soprabiti.
Ma accade che l'aria insufflata dai lancia vapore delle macchine per il caffè monti bianchi ricami in lattiere d'acciaio; e nel frastuono, impazienti, gli occhi si appiglino agli arredi.
Ecco allora smerigliare le visioni e le nostalgie di esistenze altolocate la vista abominevole di sacchi trasparenti, in ampi frigo Algida, pieni di brioches precotte e congelate, bianche, inermi, ripugnanti, al limite della decenza, quasi degli incesti di lievito.
Nebulizzano così, tra il crocchiare della sfoglia e la pasta frantumata nei denti, appiccicata al palato, il monito agli scalatori sociali, il richiamo al macabro, l'elogio alla standardizzazione culinaria, lo stress, la velocità, l'illusione e il calo del desiderio.
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