mercoledì 12 settembre 2012

Sentire, ascoltare /55

La città è un brusio pulviscolare nel quale piroettano alcuni suoni ricorrenti: il clacson, il passaggio del tram sulle rotaie, le suonerie dei cellulari, i freni del motore, il segnale acustico dei semafori per i pedoni, lo scampanellio delle bici quando passano sul basolato lavico irregolare. 

Le vibrazioni sonore si propagano lungo una duplice direzione sensoriale: nei piani pubblici della città e negli spazi intimi delle proprie orbite auricolari. 

Nel primo caso i suoni definiscono una sorta di codice dell'udibile e determinano il sentire collettivo; nel secondo caso i suoni penetrano nelle psicologie personali e muovono nevrosi, isterismi e ansie proprie della modernità. 

In un caso ai suoni corrisponde la presenza dei corpi che li emettono; nell'altro i corpi che confluiscono nel clangore urbano non esistono. Sento squillare il cellulare ma è spento nel taschino, ho la percezione che un tram sia nelle vicinanza ma non c'è, avverto lo scampanellio della bici ma la strada è deserta. 

La compresenza di questi due regni dell'esistente è segno - seppur piccolo e limitato al mondo dell'udibile - di una complessa e delicata costruzione sociale. 
L'impalcatura urbana, infatti, in quest'ottica sonora, parrebbe essere retta da migliaia di contrafforti - uno per ogni cittadino - che assorbono colpi e deviano forze disgreganti. Se i contrafforti cedono, se troppi suoni affondano nelle ansie e nelle nevrosi umane, la città crolla e tace.

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