martedì 4 settembre 2012

Sentire, ascoltare /52


Simili ad api operaie o a formiche soldato il nostro ruolo, nel mondo che ci ospita, è di manutentori di mura. È una professione che ben poco siamo consapevoli di svolgere e che è nobile e di vitale importanza. Quale che sia l'abitazione in cui viviamo, nella maggior parte dei casi, la sua esistenza precede la nostra. La nostra dipartita anticipa di gran lunga il crollo dei muri.

Ci avvicendiamo, di generazione in generazione, affinché i palazzi siano saldi e il loro splendore sia vivo. Ci premuriamo che le componenti edili resistano alle nostre mode, che le materie siano preservate dalle nostre economie. Cosa portiamo via da un luogo che abbiamo attraversato se non il ricordo di costruzioni, murature, mattoni?

Fanno capolino dalle finestre i nostri volti, se non i nostri quelli di coloro che prima di noi hanno abitato la piccola metratura che attraversiamo nel corso di un'esistenza e se non quelli, ancora, quelli di uomini di cento e mille anni fa. Manutentori di mura che legano la storia con ferro, cemento e calce. Questo siamo.

Non pare così che siano i palazzi gli abitanti della città? Non pare così che dalla notte al mattino ci sentiamo diversi perché diversa si è fatta la città pur senza che noi abbiamo potuto accorgercene? 
Se così fosse dovremmo soffermarci con più attenzione sui volti dei passanti -api operaie e formiche soldato della metropoli- perché le piccole sfumature fisiognomiche sono espressione, crepe o stucco, di una più immensa costruzione sociale.

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