lunedì 13 febbraio 2012

Sentire, ascoltare /26

L'atto di scrivere contempla tre momenti e un pensiero che li accomuna. La parola detta tra sé, in mente, la trasposizione grafica della stessa e la sua lettura -e rilettura. Ad ogni istante corrisponde una variante del concetto pensato. La percezione della parola cambia se detta, scritta o letta.
Ora mi chiedo se ha senso privilegiare uno dei tre momenti o se mediare tra loro. Il primo caso sottende una mancanza, un'incompletezza, un'imprecisione; il secondo implica un compromesso con se stessi e la compromissione di ogni assoluta veridicità, sincerità e intimità di quanto scritto.
Si scrive per sé o per gli altri, si è alla ricerca di sé o della comunità? 
Forse verrò frainteso. Ma è difficile essere chiari.


5 commenti:

  1. Si pensa per sé, si legge per sé, si scrive per sé. Si parla e si pubblica quanto scritto per la comunitá. Se vuoi comunicare non ci sono cazzi, devi pensare, leggere (non obbligatorio, ma solo se ti vuoi documentare), scrivere per essere capito, leggere per verificare se sei comprensibile. L'assoluta verità, sincerità e intimità non esistono, neanche nel puro pensiero.

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  2. Mi piacerebbe che firmassi il tuo commento. Mi interessa quanto dici, perché non lo condivido.

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  3. Mi piacerebbe avere un nome, ma me lo sono dimenticato. Però ti ammiro e ti stimo, quindi ho deciso di aiutarti: vengo da una spiaggia con un grande parco, mi piace il rischio di essere colpevole in una bilancia, ma odio la nebbia periferica, quindi sono scappato nel far west sul mio cavallo bianco.

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  4. Se mi dai degli indizi, che sono indecifrabili, vorrà pur dire che ci conosciamo! Appena ho un attimo libero (domani al più tardi) rispondo al tuo commento.

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  5. Francamente credo che per comunicare non sia necessaria la consapevolezza. La comunicazione prescinde dalla volontà di comunicare.

    Se la comunicazione è consapevole, e dunque sei ci riferiamo a qualcosa di più particolare del comunicare, allora sarebbe opportuno che le parole, scritte o dette, fossero meditate. Tuttavia non è il numero di libri letti che rende le parole migliori.

    Non condivido, invece, l'idea che non si possa essere sinceri. Diversamente saremmo schiavi di una perversa forma di ipocrisia.

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