A un bar taciturno sulla Martesana, un anziano signore, con coppola e pochette, giacca beige a fantasia scozzese, ogni giorno, sul far della sera, domanda un'anisetta con mosca, per berla, poi, appena fuori l’uscio. E pare che il suo gesto -mano in tasca e baffi radi- sia il tentativo di versare un vizio liquoroso tra le pieghe di un luogo; il pretesto per ossequiare un rito sociale che appiccica ad una serranda ormai in chiusura.
In qualche modo sono le abitudini a definire l'identità urbana, e i luoghi che conosciamo sono l'uso che se ne fa. La città trattiene, per ciascuno qualcosa, i caratteri dei suoi abitanti e li rilascia, poco a poco, nel corso del tempo.
Alcuni costumi si perdono, altri resistono, certe maniere vengono meno in un quartiere del centro per dilagare tra le vie di una periferia: circolano, si arrestano in qualche dove, cambiano e in taluni casi muoiono.
Assorbiamo dalle cose inanimate il senso che ad esse gli uomini hanno trasmesso: marciapiedi, basolati, serrande, pensiline, muri e faretti sono elementi architettonici a cui si è impigliato un qualcosa di vivo.
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Il brano appartiene a un trittico pubblicato da Ossobook, nuovissima rivista di città curata da Tommaso Labranca.
Soggetto della rivista è l’area metropolitana milanese; la grafica si ispira vagamente all’essenzialità immediata e industriale degli anni meneghini Cinquanta e Sessanta, dai monocromi di Manzoni al lettering di Noorda per la MM.
Il mio contributo si intitola Insetti: nel primo brano le bestioline sono metafora, nel secondo similitudine e nel terzo (qui sopra) traslato.
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