sabato 30 maggio 2020

Diceria dell'untore

L'ultimo libro che ho letto è «Diceria dell'untore» di Gesualdo Bufalino.

È il suo romanzo d'esordio, a 61 anni (e già questo è un segno di speranza per ogni progetto di vita).
[Lui è siciliano, come un altro che ha iniziato a pubblicare molto tardi, Andrea Camilleri, e un altro ancora, Leonardo Sciascia, che ha preso il Bufalino per le corna e lo ha condotto nel pantheon della letteratura.
(I tre sono nati tra il '20 e il '25 a non più di 100 chilometri l'uno dall'altro. Ecco, quanta meraviglia e diversità in un solo lembo di tempo e di spazio)].

Il libro (non una recensione, ma due punti di fuga).

La vicenda racconta un amore di sanatorio, nel dopoguerra, e tutta una sciarada di sentimenti che, a poco a poco, va risolvendosi.
La dedica iniziale è bellissima: «A chi lo sa». Sarà per qualcuno che lo sa o non sa proprio a chi dedicarlo?
La Rocca in cui si svolge l'azione, invece, ricorda la Fortezza Bastiani a cui viene assegnato il sottotenente Giovanni Drogo ne «Il deserto dei tartari» di Dino Buzzati. Mentre c'è tutto un romanzo non scritto, e che però ogni pagina evoca, che m'ha riportato a "Uomini e no" di Elio Vittorini - forse anche per via del personaggio femminile, Marta Levi.

Un estratto. Parla Marta.
«[...] voglio giocare in tua compagnia un solitario mio di città, non è un solitario da tavolo, si fa camminando. L'ho inventato nei primi mesi ch'ero in città e non avevo nessuno, né amici né amiche. Uscivo di casa, la domenica, entravo nella folla, mi fissavo su una persona, solo che mi piacessero le sue spalle, la stanchezza del passo. Meglio se era un povero, un vecchio. Lo pedinavo senza parere, accrescendo ogni momento di un poco la mia scienza di lui [...]».



Nessun commento:

Posta un commento