sabato 17 agosto 2019

L'isola di Luka

Non sta certo a me convincere chicchessia della veridicità di quanto sto per raccontare, ciascuno è libero di credere a ciò che vuole; ma se da quel tuffo sono riemerso con i capelli bianchi, invecchiato d'improvviso, e FaceApp non c'entra, è perché qualcosa di incredibile è davvero accaduto.

Eravamo a Luka, un paesino abbarbicato su bassi declivi, torno torno ad una insenatura da cui s'adocchiano piccole isole molto verdi e carsiche, simili a coccodrilli a pelo d'acqua.

Anche Luka appartiene a un'isola, che pure, immagino, deve sembrare qualcos'altro a chi l'avvista dalle vicine sponde dell'arcipelago.

Ad ogni modo una mattina presto io e Silvia imboccammo di buona lena un sentiero che da Luka s'inerpica verso il centro dell'isola, per poi ridiscendere alle coste, biforcandosi in piste via via più striminzite e incerte, in mulattiere di volta in volta sgombre o confuse dalla vegetazione vergine, e mai, di certo, rintracciabili su Google Maps e affini.

Così sono i sentieri di montagna e d'altri luoghi ameni; e però a farci procedere verso il mare non fu la nostra intraprendenza, ma quella che credo fosse una volontà dell'isola.

Intimoriti dal battito d'ali di mille farfalle a mezz'aria, esitanti innanzi a certe tele di ragni o atterriti al passaggio di plotoni di formiche nere, cercavamo il coraggio di andare oltre (le nostre paure), di proseguire l'escursione; e quando finalmente eravamo pronti a osare, la natura s'era inasprita tanto più da indurci ad abbandonare l'impresa, a tornare indietro, sì, ma dove, se il sentiero appena percorso se l'era già inghiottito il sottobosco spinoso? Verso una nuova via, che non era lì un attimo fa e che ora si offriva a noi seducente, così invitante che, infine, al mare giungemmo.

C'era una spiaggia di ciottoli bianchi, il mare era striato da acque turchesi e scalfito da brezze smeraldine, i lucci guizzavano luminescenti come mai visto in vita mia e Silvia era già dove non si tocca; quand'ecco librarsi in aria un enorme pesce tondeggiante, grigioverde squamato, con lunghi barbigli e labbra tanto spesse da assomigliare a quei mostri marini dipinti in alcuni mirabili quadri marinareschi del Giappone.

Il pesce si prese Silvia, se la portò negli abissi e quel tuffo di cui accennavo, discrimine della mia vita, seguì d'un baleno la loro immersione.

Scesi fino a farmi scoppiare i timpani, fino a riempire i polmoni d'acqua, fino a spelarmi la pelle, fino a toccare il fondale. Ero vivo, ero più vivo che mai, e vissi tutte le storie del mare, e conobbi tutte le gioie del buio, sentii tutte le angosce del profondo e piansi tutte le gocce dell'immensità, gioii d'ogni granello di sabbia e fui acqua anch'io, e fui sale, e fui roccia, e fui pesce.

La ritrovai distesa sull'arenile, accanto a me, Silvia, quasi irriconoscibile, sbattuti lì da quello che i giornali definirono il più grande fortunale dell'isola di Luka.

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