La malía delle parole è un vapore sulfureo che scolora i significati: la voce spinge fuor-dai-denti suoni che a masticarli non hanno sapore, il segno vocale vibra tra le arcate palatali senza l'eco di un significante; da dove viene questa parola, esiste, è mai stata pronunciata, si è forse nascosta dietro un’inversione di vocali?
Sgretolati i sensi nel fornello del calumet linguistico -ché la fonetica si manifesti in spirito-, si prende a recitare come un mantra la parola stregata, messalina, messalina, messalina, messalina, messalina, e più si sente e più non torna, messalina, messalina, più si dice e più pare un’invenzione di fonemi, messalina, messalina.
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Mistero da sciamano è la lettera e le sue modalità di espressione. Poniamo la “m” di messalina. Essa, nella sua dizione, si raffigura come “emme”. E dunque la “m” ha in sé la sua replica e il suo doppio, “emme”.
Come può una lettera, quasi fosse la rappresentazione fonetica della scienza araldica, contenere una doppia copia di sé e altri segni dell'alfabeto? Come può tale sortilegio perpetrarsi all'infinito, quasi il linguaggio fosse un'operazione matematica di cui si possa solo approssimare il risultato?
Come può una lettera, quasi fosse la rappresentazione fonetica della scienza araldica, contenere una doppia copia di sé e altri segni dell'alfabeto? Come può tale sortilegio perpetrarsi all'infinito, quasi il linguaggio fosse un'operazione matematica di cui si possa solo approssimare il risultato?
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