L'ultimo libro che ho letto è "The grammar of ornament" di Owen Jones.
Si tratta di una magnifica collezione visiva di metà Ottocento delle forme e dei colori dell'arte decorativa nella storia dell'uomo e delle sue civiltà.
Qui si presta attenzione a ciò cui in genere non facciamo molto caso: la cornice anziché il quadro, l'intaglio sul corrimano anziché la scala, l'ornamento anziché l'architettura.
Eppure l'arte decorativa trattiene e sprigiona senso non meno del contenuto che adorna (pur mantenendo un grado ancillare); e oggi più che mai siamo immersi in una sconfinata cultura dell'ornamento.
Essa, secondo l'analisi di Owen Jones, poggia - al suo massimo grado, dagli albori dei tempi (dal moresco al pompeiano, dal persiano al cinese, dal celtico al bizantino e così via) - su trentasei principi generali.
Ne risulta una grammatica che mi pare muova - in modo costante nei secoli - dall'osservazione e dalla rappresentazione della natura (in particolare foglie, fiori e geometrie che ne derivano).
Riporto tre enunciati (liberamente tradotti da me) che chiarificano il rapporto che intercorre tra natura e decoro:
Proposizione 4 - La vera bellezza risulta da quel riposo che la mente prova quando l'occhio, l'intelletto e i sentimenti sono appagati dall'assenza di qualsiasi desiderio o necessità.
Proposizione 5 - [...] Ciò che è bello è vero, ciò che è vero dev'essere bello.
Proposizione 13 - Fiori e altri oggetti naturali non dovrebbero essere usati come ornamenti, bensì le rappresentazioni [...] fondate su di essi sufficientemente suggestive da trasmettere alla mente l'immagine voluta [...] .
Un libro da leggere, ma soprattutto da osservare ed io ho perso la testa per come gli egizi disegnano e colorano il Papiro, combinando le fasi del germoglio, della crescita e della schiusa (come in foto).
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