L'ultimo libro che ho letto è "Tifone" di Joseph Conrad.
Classico della letteratura di mare, il racconto salpa tra marosi d'Oriente a bordo del Nan-Shan, piroscafo battente bandiera cingalese.
In stiva un carico di duecento coolies destinato a Fu-chou, porto del Celeste Impero non lontano dall'isola di Formosa, attuale Taiwan. "Tifone" per l'appunto deriva dal cinese "t'ai-fung" ovvero (probabilmente) "vento di Formosa".
Nei suoi mari, dove oggi soffia un ipotetico terzo conflitto mondiale, ma è un'altra storia, poco più di un secolo fa il capitano MacWhirr incoccia nella furia d'una tempesta che assale l'uomo «come fosse un nemico personale».
La natura titanica, l'ignoto negli occhi, il codice marinaresco (per cui sempre apro il vocabolario in cerca delle formaggette dell'albero, del paramezzale, del baglio, delle alette di rollio, ...) ma soprattutto il capitano.
Tanto esperto quanto folle, MacWhirr al cospetto del tifone pare come noi oggi di fronte alla crisi climatica.
«I presagi per lui non esistevano affatto, ed era incapace di cogliere l'avvertimento di un indizio finché il fatto compiuto non gli avesse aperto proprio gli occhi». «Come si può dire che cos'è una burrasca finché non ci si è ficcati dentro? [...] Qui dice che il centro di tutta la baracca è a otto quarte dal vento; ma non c'è una bava di vento, anche se il barometro continua a scendere. E il centro dov'è allora?».
Siamo ancora qui? Forse, non lo so, ma nel dubbio torno sull'albero maestro di questo mio palazzo brianzolo a scrutare l'orizzonte. Prima o poi il tifone arriva.