martedì 26 febbraio 2013

Sentire, ascoltare /90

Come se non avessimo parole per definire alcuni luoghi -dormiveglia, bagnasciuga, parapiglia- socchiudiamo gli occhi, allunghiamo le dita, tendiamo le orecchie -vista, tatto e udito- in un reale sfumato, dentro un sogno accennato: chiaroscuri di ombre notturne, grani di sabbia liquida, suoni senza corpi in oscillazione. 

In questi nostri sensi, che ci spiegano le cose del mondo, avvertiamo il limite della conoscenza; gli elementi esperiti, in alcuni spazi opachi dell'esistente, sono senza complete immagini, materia e note. 

Avanza così, tra ragione e stupore, dapprima una sensazione di incompiuto, poi il desiderio di catalogare ogni cosa: perché non vada persa nemmeno una sfumatura sensoriale, perché l'invenzione di un metro argini infinitesimi segmenti sfuggenti. 

Come per il gusto e l’olfatto -sapori e profumi e miscele- prevale la necessità -ma è un'illusione- di classificare senza fine: luppolo, sambuco, zafferano, coriandolo, macis, chiodi di garofano, anice stellato, borragine, legno di quassio e cardamomo, enula campana e imperatoria, zenzero, china, cannella, melograno…

domenica 24 febbraio 2013

Sentire, ascoltare /89

«Il palazzo è tutto volute, tutto lobi, è un grande orecchio in cui anatomia e architettura si scambiano nomi e funzioni: padiglioni, trombe, timpani, chiocciole, labirinti; tu sei appiattito in fondo, nella zona più interna del palazzo-orecchio, del tuo orecchio; il palazzo è l'orecchio del re». 

«Il fresco della sera non arriva fino alla sala del trono ma tu lo riconosci dal brusio di sera estiva che ti raggiunge fin qui. Ad affacciarti al balcone è meglio che ci rinunci: non guadagneresti altro che di farti mordere dalle zanzare e non impareresti nulla che non sia già contenuto in questo rombo come di conchiglia all'orecchio. La città trattiene il rombo d'un oceano come nelle volute della conchiglia dell'orecchio: se ti concentri ad ascoltarne le onde non sai più cos'è il palazzo, cos'è la città, orecchio, conchiglia». 

Copertina della prima edizione italiana di PLAYBOY

Ho tra le mani la prima edizione di Sotto il sole giaguaro di Italo Calvino, pubblicata nel maggio 1986. In copertina è riprodotta la Successione di Vasilij Kandinskij. 

La nota a fine testo ricorda che «il racconto che dà il titolo al libro è apparso sulla rivista FMR del 1° giugno 1982 col titolo Sapore Sapere». Ben altro sapore è sapere che il primo dei tre racconti di Sotto il sole giaguaro fu pubblicato nel novembre 1972 sul numero d'esordio dell'edizione italiana di Playboy; il direttore editoriale era Oreste del Buono. 

In copertina una ragazza nera nuda ben disinibita acciambellata su una sedia con schienale-coniglietto; all'interno racconti di Nabokov, Bradbury e Calvino.

venerdì 15 febbraio 2013

Sentire, ascoltare /88


Il linguaggio e la sua applicazione all'arte del comunicare rappresentano, in città, il tentativo di plasmare il panorama sociale a piacere di chi ha l'opportunità di occupare le vedute pubbliche: cartelloni pubblicitari, impalcature, locandine, manifesti, video, gif, installazioni. 

Ne risulta uno spazio pubblico creativo, in qualche modo stimolante e mutevole. Le idee dell'oligopolio dei brand si allargano tra le strade, talvolta suscitano riflessioni, sdegno e approvazione, dibattiti e battute, desideri e passioni. 

Poi, in un giro di luna, annunciata da trombe e strilloni la campagna elettorale, gli attacchini scrostano dai muri le carte indurite dalle intemperie, i seni e le cosce delle modelle, le spume e le bionde delle etichette etiliche, i giochi di parole e le allusioni visive; gli agenti mandatari srotolano i rulli e ritirano le registrazioni, voci d’imitatori, vagiti, suoni della foresta, animazioni, fantasie; e la città assorbe l’inchiostro della politica. 

Pare così, il giro di luna dopo, nei propri tragitti urbani, che i volti dei candidati affissi, i claim partitici, le bandiere e i simboli d’identità disseminati tra banchine e pensiline, palazzi e paesaggi, siano copie sbiadite di quella tirannia del capitalismo visivo -imperi commerciali, pose plastiche e ritocchi, fustini e promozioni- che fa dell’area metropolitana uno spazio di libero pensiero, di stimoli e di sviluppo emozionale. 

Non c’è pluralità di intenzioni, nessuna creatività di parole o conflitto di vedute; e non è più ben chiaro se la politica sia un bene di cui non si possa vendere l’essenza o se non esista alcun bene di cui la politica riesca a farsi espressione originale e dirompente.

domenica 10 febbraio 2013

Aforismi, neologismi e bestialità /30

La realtà contiene ogni cosa, anche il proprio contrario. Dunque l’immaginazione è reale; un’astuzia che permette di concepire, senza limiti, l'esistente e la sua negazione.

Tuttavia, perché sia così, l’immaginazione non può appartenere esattamente alla realtà; altrimenti non sarebbe plausibile afferrare qualcosa d'altro, oltre la realtà stessa; che, di fatto, contiene ogni cosa, o quasi. 

Prendendo a vero ciò che non lo è, pare impossibile immaginare la realtà in modo definito; e tracciarne i confini netti con un diagramma di Eulero-Venn.

giovedì 7 febbraio 2013

Sentire, ascoltare /87

Quando le lettere si scolorano dai tasti, perché troppo si è scritto nel tempo, si avverte, sul monitor illuminato, il mistero del linguaggio

Persi i segni, privati di senso, le dita che pigiano i tasselli della tastiera nera -simile al monolito di 2001: Odissea nello spazio- rappresentano un atto di fede -palpabile e sensuale.

domenica 3 febbraio 2013

Sentire, ascoltare /86

Il desiderio di una vita borghese si nutre, tra Cimbali e Cosa le servo?, in sale e salette di bar milanesi: cappuccino, Corriere della Sera, bicchier d'acqua, brioche. 
I clienti giocano a fare i signori, pose e vanità, gambe accavallate, sopraccigli scostanti, labbra gonfie e briciole sui soprabiti. 

Ma accade che l'aria insufflata dai lancia vapore delle macchine per il caffè monti bianchi ricami in lattiere d'acciaio; e nel frastuono, impazienti, gli occhi si appiglino agli arredi. 

Ecco allora smerigliare le visioni e le nostalgie di esistenze altolocate la vista abominevole di sacchi trasparenti, in ampi frigo Algida, pieni di brioches precotte e congelate, bianche, inermi, ripugnanti, al limite della decenza, quasi degli incesti di lievito. 

Nebulizzano così, tra il crocchiare della sfoglia e la pasta frantumata nei denti, appiccicata al palato, il monito agli scalatori sociali, il richiamo al macabro, l'elogio alla standardizzazione culinaria, lo stress, la velocità, l'illusione e il calo del desiderio.